La gente sono brutti


Ti manca la beissline...



Alla fiera del libro di Roma ho riso lungamente da sola e ho visto il futuro della musica davanti allo stand della Castelvecchi.
C'era un libro sull'opera dell'artista "di strada" Banksy e, a sinistra, una copertina con una ragazza che addenta un vinile. Sembra la copertina di un disco degli anni '80, ho pensato. Infatti la ragazza ha i capelli frisé, cosa che andava molto all'inizio di quel decennio.
Una volta entrati, cioè una volta aperta la prima pagina, ci si imbatte nel titolo del primo capitolo: La gente sono brutti. Non è un errore, ma la trasposizione libera del titolo della canzone dei Doors, People Are Strange . E la gente che l'autore incontra nel suo negozio di vinili a Torino sono veramente brutti.
Cos'è che rende la gente brutti? Il soggiacere a una passione sola, che fa scartare tutte le altre e fa vivere la vita al perenne inseguimento dell'istante supremo in cui si è certi di averla domata, questa passione. Cosa che non avverrà mai. In questo caso, il demone si materializza nel disco, o meglio, in tutto quello che il disco ha significato nel 20° secolo. Da qui partono i quesiti più strani che i clienti fanno ai due proprietari del negozio di dischi:

"Ce l'ha Amafun?"
"Cosa?"
"Amafun di quelli là, quelli del muro"
Panico.
"Vuoi dire The Wall dei Pink Floyd?"
"Sì però cercavo Amafun"
Panico 2.
"Forse The Dark Side of the Moon?"
"E, dai, quello lì".

"Comprate dischi di gente morta?"
"In che senso, morti i musicisti o morto chi lo vende?"
Ci pensa.
"Entrambi".

"Morricone era uno dei Camaleonti, vero?"

"Stavo cercando qualcosa do orientale-campionato"
"Tipo?"
"Ha presente Gazebo?"
"Altroché!"
"Ecco, faccia conto Gazebo, ma senza la voce e più orientale"
"Capito. Non abbiamo niente". (*)


La descrizione che Maurizio Blatto, l'autore-negoziante-demiurgo-psicanalista fa dei suoi clienti va oltre la sorridente bonomia che si riserva al mattocchio sgrammaticato cui capita d'imbattersi. Questa è gente tosta, provata dalla vita, che ha scelto nella propria esistenza di donarsi a uno o più generi musicali, venerando vinili di nascosto da fidanzate, mogli e figli.
Io ho sempre avuto paura dei negozi di dischi.
Quando ero più giovane spendevo parte del (mio) magro stipendio in LP (allora non c'erano i CD, e nemmeno Internet) da trasferire eventualmente su musicassette - era l'era dell'impianto stereo scuro scuro con giradischi col coperchio trasparente, radio, amplificatore e registratore a una piastra o due e due casse a lato, che se ti sbagliavi a premere un tasto passavi l'ora seguente a cercare di capire perché il disco non emettesse alcun suono - Ogni volta che entravo nel negozio di dischi era una lieve sofferenza, e non riuscivo a capire perché. Ora, dopo aver letto questo libro, capisco.
I negozi di dischi sono l'ultimo baluardo di una religione che si sta per estinguere. Io temevo inconsciamente, entrando e vedendo tutti quegli scaffali pieni di vinili, che se avessi tuffato le mani (che nel libro è indicato come "fare il castoro" ) nella sezione sbagliata sarei incorsa negli sguardi di compatimento del personale. Magari non era vero niente, ma l'idea di tirare fuori un disco e sentirmi inadeguata era troppo schiacciante. Preferivo poi non chiedere nulla al personale dietro il banco, temendo sonore risate. Mi documentavo prima e andavo a colpo sicuro, come si fa con gli assorbenti. Ne L'ultimo disco dei Mohicani c'è questo dialogo continuo fra il maniaco dei dischi (o "gabbia", nel senso che è scappato da un manicomio) e il venditore dei dischi stessi, che a volte cerca di sfuggire di fronte a delle manifestazioni di follia pura, a volte lenisce gli stati di disagio dei clienti mollandogli vinili "curativi" - il "secondo dei Black Rebel Motorcycle Club" ricorre spesso tra le pagine - , a volte invece si commuove e magari compra la misera collezione di un povero cameriere truffato e in bancarotta che voleva tanto comporre endecasillabi .

Nella descrizione surreale della vita da venditore di vinile (Nick Hornby nel suo Alta Fedeltà affronta un tema simile, ma lì un ammuffito negozio di dischi si fa metafora della vita di un uomo che non riesce a cambiare), Blatto afferma in modo irresistibile un concetto tristissimo: che l'uomo senza passioni non è nulla, ma che allo stesso modo le passioni sono proprio quelle che contribuiscono a ucciderlo. L'uomo, perché praticamente nessuna donna è raccontata mentre cerca o vende dei dischi - se si esclude un'esagitata signorina che prorompe in insulti pazzeschi quando le vengono rifiutati i suoi LP - le donne vengono messe sullo sfondo come mogli furenti e disperate dei collezionisti "con la scimmia del vinile", o conquiste non si sa quanto vere a suon di David Sylvian da parte di loschi figuri con

cravatta da agente immobiliare, con un nodo grosso come un pugno di Bud Spencer, basette stile tangenziale, con rientri e sfumature sulle due gote, ochiali da sole tirati sui capelli (in pieno febbraio) e mocassini da aperitivo in centro.(*)

Come mai non ci sono le donne? Blatto non si dà spiegazioni - e nemmeno Hornby - ma temo che una donna preferisca apprezzare la musica ascoltandola, piuttosto che stipare in una stanza centinaia di pezzi di plastica neri ciascuno dentro due buste (quella interna bianca viene chiamata "mutanda", non a caso). Molti uomini preferiscono invece affidare quel po' che rimane loro della vita accumulando oggetti, fra cui i dischi. O forse, più semplicemente, alle donne non viene concesso spendere per i padelloni (per le padelle, sì).
Ancora oggi, quando passo davanti a un negozio di dischi - quelli veri, non le catene che vendono gli stessi CD - provo un vago senso d'ansia. Mi manca la beissline, come dice uno dei racconti più belli, di cui esiste una lettura con sottofondo musicale a cura degli Offlaga Disco Pax:



I brani contrassegnati con (*) sono tratti da L'ultimo disco dei Mohicani, di Maurizio Blatto, ed Castelvecchi, 2010

1 commenti:

dona ha detto...

Bella escursione psico-nostalgica. Condivido pienamente ricordi e sensazioni.