Secondo semestre

Per il secondo semestre del corso di Laurea Magistrale in Scienze della Traduzione (ora denominato, inspiro, corso di Laurea Magistrale in Lingue Moderne, Letterature e Scienze della Traduzione, l'aria è andata tutta via, finiti i tempi in cui si diceva faccio Lingue ), sto camminando in fretta lungo il tortuoso e accidentato percorso che dal capolinea dei tram 5 e 14 conduce all'incrocio con Viale Einaudi, sede (momentanea) dei jumbo bus 90 e 90 X (Express). In questo percorso si trova una quantità di vita in fermentazione che neanche in uno yogurt. Al centro, due fiumane di gente in ordine uguale e contrario passano in mezzo a degli ombrelli di velluto con sopra appesi svariati orecchini. Ma queste sono cose che si possono trovare in qualunque mercatino. La cosa che salta di più all'occhio sono i venditori di bambole.


Queste bambole sono uscite dai peggior incubo di un negozio di giocattoli; hanno i boccoli modello Baby Jane, il vestitino con sotto i mutandoni, le scarpette in tinta e un'aria paffuta e assente d'altri tempi che oggi definiremmo bisognosa di cure dimagranti. Sembra impossibile che qualcuno assembli ancora bambole così, ma evidentemente c'è un mercato parallelo e carsico che scorre al di sotto delle Winx e delle Bratz. Non bisogna dimenticare il venditore del gadget del pomodoro spiaccicato che ritorna miracolosamente nella sua forma originale; un ragazzo tira in continuazione questo pomodoro su una superficie liscia, il pomodoro si spiaccica, sembra avere tirato le cuoia e invece ritorna come prima.

Mentre si passa e con la coda dell'occhio si vede questo giochino di silicone sbattuto senza pietà che ritorna sempre uguale, viene da pensare alla propria esistenza e a quante volte ci rialziamo apparentemente spiaccicati per poi riprendere a camminare. Supero orecchini bambole e pomodori e mi dirigo verso il 90. So che dovrò scegliere i moduli didattici (ex-corsi) - e mi sembra di vedere tanti mattoncini Lego - però non ho ancora idea di come far quadrare le mie giornate. Una volta sull'autobus mi accade una cosa stranissima: mi cedono il posto. Devo proprio avere l'aria della matusa, nonostante il mio lettore MP4 il cui filo tento di sderrecciare, e allora mi rendo conto che the young ones sono quelli che il filo del lettore, o del cellulare, lo hanno già sbrogliato prima di uscire di casa. Riesco a mettere in moto il lettore ed ascoltare qualcosa due fermate prima che io scenda, dribblando così il violinista ambulante organizzato che viene dall'Est che suona Historia de un Amor che fu composta a Sud.


Scendo dall'autobus e faccio a piedi i due-trecento metri che mi separano dalla facoltà, le persone che mi superano o che mi vengono incontro mi sembrano tutte venire da un altro mondo; non che siano vestite poi in modo tanto diverso da come ero vestita io - che del resto non ho mai brillato per modaiolità - , ma che hanno una specie di aura invisibile addosso, come se scorressero su dei binari differenti e invisibili. Varco la soglia e faccio la piccola salita asfaltata a losanghe in rilievo con i sassolini dietro ciascuna losanga, e svolto a sinistra. Mi aspettano cinque scalini, poi una rampa di scale. Arrivata all'ultimo scalino mi accorgo di una cosa: mi fa male il ginocchio sinistro. Vorrei prendere l'ascensore, ma mi vergogno. Inoltre non mi fido degli ascensori pubblici. Mentre faccio queste meditazioni uno studente preme il bottone di chiamata dell'ascensore. A che piano sale? Fa lui. Io allora mi piego da una parte per giustificare il fatto che alla mia età, sì, è giusto prendere l'ascensore. Al primo, grazie. Poi, senza riprendere fiato: Dovrei andare a piedi, ma mi fa tanto male il ginocchio! . La mia interpretazione della vecchietta del cacao Talmone
sta facendo scintille. Solo che il mio interlocutore non se ne accorge e mi risponde neutro: Non c'è problema! L'interpretazione era troppo perfetta.


Primo piano (quello di Lingue: il secondo, più rarefatto, è da sempre di Filosofia). Giro a destra, riavvolgo con mano lesta il cavo dell'auricolare intorno al lettore, apro la borsa, estraggo il cellulare, lo tiro fuori dall'astuccio fatto da me all'uncinetto - per il quale mio padre fece questo commento: quanto ci hai messo a farlo? Due ore? Hai perso due ore di tempo. - e vado davanti alla porta dell'aula dove dovrebbe esserci la lezione. Dovrebbe, perché ho dei dubbi. Ci sono troppe poche persone. Stai a vedere che ho sbagliato sede. Entrando ho una specie di tremore, come se le persone sedute dietro ai banchi nelle strette seggioline pieghevoli si debbano alzare tutte assieme per cacciarmi via. Questo stato momentaneo di paranoia svanisce però non appena dopo cinque minuti entra un'altra persona che riconosco come mia simile. Ne ha tutte le caratteristiche; innanzitutto porta una borsa con cui potrebbe benissimo trasportare i broccoletti dal mercato; si guarda intorno per vedere qual è il posto migliore per assistere alla lezione ed eventualmente alzarsi prima che finisca per non dare fastidio, chè deve tornare a casa per soddisfare gli altri pezzi della sua vita; non parla con nessuno e dispone quaderno e penna davanti a sè come nei documentari televisivi sulle scuole rurali del Terzo Mondo (gli altri studenti salutano i colleghi o lanciano messaggini). Infine, una volta sicura della sua postazione, si toglie il cappotto.

Non siamo soli nell'universo.

1 commenti:

dona ha detto...

L'hai reso benissimo. Anch'io, dal punto di vista esteriore, mi sento spesso un'aliena.
Comincia ad affollarsi questo universo parallelo...