sesta, ottava, terza, decima... Non trovo la quinta misura, e in questo mare di mutande del reparto biancheria del mio magazzino preferito si rischia la paralisi dell'occhio. All'entrata non v'e il caratteristico spiazzo centrale tipico di tutti i grandi magazzini, dove il cliente può sostare un attimo prima di dirigersi risoluto verso il settore che lo interessa: qui ci si immerge subito in un mare di maglie e magliette, costumi in fondo a destra, scarpe a lato. La merce è impilata in modo ordinato ma eccessivo, senza quegli spazi fra un capo e l'altro merceologicamente studiati per far "riflettere" il compratore. Qui non si vendono "stili di vita", con gli abiti dotati di differenti etichette a seconda delle linee d'abbigliamento. Qui vedi invece camicie e magliette provenienti da un passato che pensavi di esserti lasciato alle spalle, più avanzi di avanzi di fondi glitterati di magazzino e i temibili golf acrilici lunghi fino alle ginocchia. A volte ritornano: il reparto biancheria è la cosa più vicina al delirio e più lontana dalle catene di "intimo" che infestano le vie commerciali. Le mutande di cotone a costine (che a Roma chiamano 'e mutanne a cannolè) convivono pacificamente con pozzi di San Patrizio pieni di infinite varianti di tanga e perizoma assai peccaminosi, più una nutrita rappresentanza di slip cinesi fluorescenti. Si tira su da queste ceste enormi un affarino attraversato da un cordino elasticizzato e ci si chiede chi mai possa indossare quella roba: nane vivaci? Bambole voodoo? Reggiseni che riducono il volume delle tette (sesta misura e oltre) stanno accanto a push-up ricamati a foglie d'oro (seconda misura) e boxeroni a fiorellini. Qui viene eliminato l'elemento ormai più importante nella vendita: il "sogno". Quello per cui gigantografe di esseri felici indossanti i vari capi di vestiario sono appese sopra le rastrelliere , e tu vai a comprare il sogno a cui questi sono collegati. Da MAS esiste solo La Merce per se, e i clienti "capano" - o scelgono- quello che serve a loro. Questa esposizione può sgomentare chi è abituato a comprare secondo le regole della buona creanza commerciale, ma dà un certo entusiasmo vedere tutto quel ciarpame squadernato davanti ai tuoi occhi. Allora tutto si rovescia: e se il suddetto ciarpame fosse quello reclamizzato a oltranza dai media? E se fosse proprio QUESTA invece la perfetta rappresentazione del mondo, dove occorre tuffarsi e ravanare in fondo a un cesto per trovare la quinta misura di una mutanda? L'ho trovata.
Quando si passeggia sulla riva non si può fare a meno di notare la quantità di popolazione che si dirada o si assiepa su un singolo metro quadro di spiaggia. Se si guardano i servizi dei telegiornali sembra che tutte le spiagge siano brulicanti come termitai. Errore. Gli stabilimenti hanno ora un’enorme spazio fra la prima fila degli ombrelloni e i lettini sfusi messi per prendere il sole – affittati dalle signore d’età in topless- .Gli stessi ombrelloni non sono tutti aperti, e capita che interi gruppetti stiano sotto un ombrellone solo con tre lettini. Ma, a parte questa descrizione da Assobalneari in gramaglie, è interessare notare il cambiamento dei corpi umani mano a mano che ci si avvicina ai fazzoletti di spiaggia “libera”. Verso il confine dello stabilimento balneare una famiglia prende il sole, e dispone di una sedia pieghevole e un ombrellino che il membro più anziano tiene aperto sopra di sé con la dignità del rango che gli si addice. Gli altri membri stanno intorno e indossano costumi da bagno cinesi con le perline (2-3 perline penzolano, dopo le Olimpiadi il prossimo obiettivo sarà fissare le decorazioni alla stoffa con due fili invece di uno). Quando si varca la staccionata, -il confine oltre il Rio Grande- è un altro mondo. Sembra di essere tornati a cinquant’anni fa; dall’aria vagamente pretenziosa che hanno pance e tette negli stabilimenti, con piccoli parei in rete allacciati in vita –bordo con frange a coprire la chiappa destra, nodo sul fianco sinistro, mutandina del costume in tinta col pareo, andatura atta ad agitare le sunnominate frange- si passa a dei corpaccioni troppo vissuti per passare attraverso le maglie di una rivista di moda. Abbiamo signore in normale biancheria, i reggisenoni dall’elastico dietro slonzato e spostato verso l’alto per il peso delle tette davanti; uomini con mutande da bagno sullo scuro che scoprono gambe pelose sul secco; due-tre paia di calzini sul corto (sparsi) e giovani sul tatuato che rifiutano l’aiuto di un qualsiasi ombrellone per rosolarsi sulla sabbia (e se c’è una pozzanghera formata da precedenti mareggiate si sdraiano in ammollo nei dieci cm. d’acqua con pose da mese di luglio). Non è vero che i bambini non vogliono più costruire i castelli con la sabbia: lo fanno gli adulti dotati di cultura media e buone letture sui giornali – i quali ad agosto deplorano il fatto che non vi siano più castelli di sabbia sulla spiaggia-. Gli stessi adulti amano poi farci sgocciolare sopra dei ghirigori con la sabbia bagnata, modello Sagrada Familiadi Gaudì. I bambini invece scavano fosse a metà strada fra le trincee della Prima Guerra Mondiale e le piscinette gonfiabili, le riempiono d’acqua e poi vi si mettono dentro. Ho visto un bambino di tre anni del peso di venti chili seduto a starnutire in una di queste fosse, subito soccorso dalla mamma (del peso di cento chili). La terra ha tremato. Sedie, seggiole, strapuntini, passeggini,asciugamani da bagno medi e grandi, borse e borsette: tutto è appoggiato sulla sabbia in disordine e a volte mescolato e trascinato dai più piccoli fino alla riva dove al tramonto a volte un’ondata arriva a lambire e fracicare il tutto. C’è persino la donna che s’immerge per metà nell’acqua, le gonne tirate sulle gambe bisognose di movimento e drenaggi vari. Quello al di là della staccionata – ci sono anche dei grossi sassi che non riescono ad essere scogli, infatti la gente invece di sedervisi sopra vi appoggia le loro cose – è un mondo che quando lo si vede per la prima volta non si sa se c’è stato un salto nel passato o se è quello il futuro che avanza, come la marea al tramonto.
Uno dei grandi successi canori dell’estate 2007 è stato Bruci la città, cantato da Irene Grandi. Cosa ha convinto tanti italiani a lasciarle un posto nei loro cuori? Come mai una canzone sfonda e un’altra, a parità di passaggi in radio e alla TV non viene neanche scaricata dalla rete? In questo caso credo che il testo sia stato la carta vincente. Di Maurizio Bianconi, - leader dei Baustelle – Bruci la città si rifà a un genere poetico ben preciso, quello dell’invettiva, che ha il suo esempio più celebre nel S’i fosse foco di Cecco Angiolieri (1200).
S’i fosse foco, ardere’ il mondo; s’i’ fosse vento, lo tempestarei; s’i’ fosse acqua, i’ l’annegherei; s’i’ fosse Dio, manderèil’ en profondo
S’i’ fosse Papa, serei allor giocondo, ché tutti cristïani embrigarei; s’i’ fosse ‘mperator, sa’ che farei? A tutti mozzarei lo capo a tondo.
S’i’ fosse morte, andarei da mio padre; s’i’ fosse vita, fuggirei da lui; similemente farìa da mi’ madre.
S’i’ fosse Cecco, come sono e fui, torrei le donne giovani e leggiadre: le vecchie e laide lasserei altrui.
Se fossi fuoco Se fossi fuoco, brucerei il mondo se fossi vento, lo tempesterei; se fossi acqua, io lo annegherei se fossi Dio, lo inabisserei
Se fossi Papa, mi divertirei, ché tutti i cristïani inguaierei; se fossi imperator, sai che farei? Le teste a tutti quanti taglierei.
Se fossi morte, andrei da mio padre; se fossi vita, fuggirei da lui; La stessa cosa farei poi con mia madre.
se fossi Cecco, come sono e fui, terrei con me le giovani e leggiadre: le vecchie e brutte lascerei altrui.
In realtà le intenzioni della canzone non sono molto differenti dall’argomento “Che-m’importa-del-mondo-fintanto-che-ho-te” squadernato infinite volte (e che ha dato anche capolavori come Il cielo in una stanza). Quello che deve aver colpito l’immaginazione popolare dev’essere stato l’immaginario apocalittico applicato all’estasi d’amore. Anche qui c’è una stanza –“Rimani tu dasolo/Nudo sul mio letto” e ci sono i due amanti, ma fuori impazza una guerra virtuale a base di città distrutte con il semplice battito di ciglia . Il grattacielo crolla e le stelle esplodono, questo scenario post-11 settembre e post-Matrix è l’elemento “moderno” del testo. Il verso che passerà alla storia è però uno solo: "Muoia sotto un tram/più o meno tutto il mondo". Il tram è l’elemento “italian pop” inserito a sorpresa nell’invettiva generale che poteva riguardare fino a quell’istante Cincinnati (Ohio) per quello che ne sapevamo. Oltretutto il testo è formato esclusivamente da parole piane, ossia con l’accento sulla penultima sillaba. E’ un elemento non di poco conto,perché il verso con tram (unica parola sdrucciola) arriva, appunto, come una tramvata sulla melodia. Alcuni critici hanno notato una qualche affinità con un pezzo degli Smiths, There Is A Light That NeverGoes Outdove esiste un mezzo pubblico rivelatore (And if a double-decker bus/Crashes intous/To die by your side/Is such a heavenly way to die); ma il tram è una cosa italiana, tutti almeno una volta hanno augurato a qualcuno la morte sotto a un tram (In una classifica ideale il meteorite verrebbe al secondo posto). Nel tentare una traduzione in inglese del testo, ho dovuto infatti scendere dal tram e sostituirlo con un più comprensibile bridge da cui far saltare il mondo intero (May it jump off a bridge). Ho cercato inoltre di inserire termini che potessero avere un suono il più “vocalico” possibile (“E tutti quei ragazzi – citazione dai garçons et filles de mon âge di Françoise Hardy-/ come te non hanno niente” diventa And all those pretty boys /next to you are reallynothing) Un altro verso pericoloso è “Farti scudo/ col mio cuore da catastrofi e PAURE” dove la musica s’impenna proprio sull’ultima parola. Ho fatto coincidere la r di paure con il suono [ә*] di feARs (Icould shield you/with my heart from all the ruin and all the fears). I versi finali, - quelli dove si parla di questo tuo profondo- ho preferito far rimanere il “mistero” con this oh so deep e terminare così. Spero siate clementi con il mio tentativo. In fondo potreste fare come Cecco Angiolieri e “lassare altrui”.
Bruci la città
Bruci la città e crolli il grattacielo rimani tu da solo nudo sul mio letto. Bruci la città o viva nel terrore nel giro di due ore svanisca tutto quanto svanica tutto il resto
E tutti quei ragazzi come te non hanno niente come te io non posso che ammirare non posso non gridare che ti stringo sul mio cuore per proteggerti dal male che vorrei poter cullare il tuo dolore il tuo dolore.
Muoia sotto un tram più o meno tutto il mondo esplodano le stelle esploda tutto questo Muoia quello che è altro da noi due almeno per un poco almeno per errore.
E tutti quei ragazzi come te non hanno niente come te io vorrei darmi da fare forse essere migliore farti scudo col mio cuore da catastrofi e paure io non ho niente da fare questo è quello che so fare Io non posso che adorare non posso che leccare questo tuo profondo amore questo tuo profondo non posso che adorare questo tuo profondo
Let The City Burn
Let the city burn, let all the buildings fall down I want you on my bed & take éverything off you Let the city burn Or be in a living nightmare Within two-hours time Let everything disappear Let all their world disappear
And all those pretty boys Compared to you are really nothing Next to you I can’t do nothing but admire you I can’t do nothing, only crying And keeping you in my arms Protecting from the evil And singing to you a lullaby Forever taking all your pains away
All the world may die May it jump off a bridge May all the stars explode May everything explode. All those things which are Outside us can collapse down May be for just a while Maybe just for a mistake
And all those pretty boys Compared to you are really nothing Just like you I wish I could get on and maybe be some better I could shield you With my heart from all the ruin and all the fears There is nothing I could do And this is all That I can do I can do nothing but adore you I can do nothing but to lick this love of yours so deep this oh so deep I can do nothing but to adore this oh so deep
Ecco il video di Bruci la città, ispirato a Second Life (non un granchè, a mio parere):
"Il mare, è la gioia del mio cuore..." (Sergio Bruni)
Per questo Ferragosto vorrei presentare un brano da Agosto, moglie mia non ti conosco di Achille Campanile. Le avventure dello stabilimento balneare “La Vigile Scolta” , scritte negli anni ’30 hanno ancora oggi una freschezza paradossale di scrittura, mettendo alla berlina tutti i tic della società italiana fascista e borghese di allora in modo apparentemente svagato e surreale, ma in realtà feroce (autori come Stefano Benni devono molto a Campanile). Ognuno dei personaggi che affollano lo stabilimento balneare recita una parte, è come un burattino nel teatrino della villeggiatura. Questo brano parla in particolare di un povero polpo costretto a fare il ruolo del “pesce fresco” nel ristorante dell’albergo…
Le disavventure di un polpo
...Una folla multicolore, incessante, entrava lentamente nello stabilimento, con borse, palloni di gomma e altri oggetti inerenti al bagno. Si sarebbero detti i fedeli d’una misteriosa deità, che entravano nel tempio. I bagnini scalzi correvano ad aprir le cabine e a spinger nell’acqua le barche e i “mosconi” presi in affitto.
Presso l’entrata, un pescatore sbatacchiava sul parapetto di pietra, con straordinaria violenza, un polpo testé pescato e ancora vivo. Si sa che con questo sistema vengono uccisi i polpi. «Che barbara usanza!», esclamò Suares, che, con i compagni, entrava in quel momento. «Le parrebbe anche più barbara», disse un assiduo dello stabilimento, «se sapesse che quel polpo è sempre lo stesso, che viene ogni giorno pescato vivo e sbatacchiato per un certo tempo sotto gli occhi dei villeggianti ».
«Come sarebbe a dire?», chiese il nostro amico. «Ella sa», spiegò l’altro, «che nessuno si fida di mangiare il pesce in uno stabilimento dove non si veda almeno un polpo ucciso sotto gli occhi dei clienti. Qui, poiché non si può ogni giorno pescare un polpo diverso, la direzione ha pensato di usar sempre lo stesso polpo, che dopo essere stato sbatacchiato per un certo tempo e prima che esali l’ultimo respiro, viene di nuovo gettato nel mare, in un recinto chiuso, dove è facile pescano a ogni occorrenza».
Era vero. Il povero animale, come se non bastassero gli sbatacchiamenti quotidiani della mattina, doveva spesso sottoporsi a penosi extra nel corso della giornata. Appena si presentava qualcuno e chiedeva di mangiare pesce fresco, pescato sotto i suoi occhi, il polpo veniva tratto fuori e tosto sbatacchiato per alcuni minuti sul muricciuolo. Poi, dopo essere stato sostituito con polpi venuti da Milano, era di nuovo gettato in acqua per servire in altra occasione. Ormai, il poverino sentiva dalle voci quando era giunto il momento d’esser tirato fuori e sbatacchiato. I primi tempi, appena udiva gridare: «Ehi, c’è da mangiare pesce fresco?», mormorava: «Ci siamo!». E si faceva piccino piccino, rimpiattandosi sui bassifondi. Ma tutto era vano. Ben presto veniva scovato, tratto alla luce e violentemente sbatacchiato sul muricciuolo, con soddisfazione della clientela. Poi, l’infelice mollusco, per abbreviare quei momenti terribili, appena sentiva chiedere pesce fresco veniva a galla spontaneamente e si metteva vicino al parapetto, con maravigliosa abnegazione. Ormai il disgraziato animale era diventato durissimo e non desiderava che di farla finita con la sua misera esistenza. Vero è che non gli mancava nulla. Anzi, per conservarlo in vita, la direzione non gli lesinava i buoni bocconi e le comodità d’ogni sorta. Ma quella storia d’essere sbatacchiato in così barbaro modo faceva passar tutto il resto in seconda linea. Ogni mattina egli diceva: “Speriamo che sia per oggi”. Ma quando, dopo essere stato duramente provato, si sentiva gettar di nuovo in mare, invece che in padella, rabbrividiva pensando: “Ancora domani saremo daccapo”. Qualche volta, dopo essere stato sbatacchiato, faceva il distratto e s’avviava zitto zitto verso la cucina. Ma il pescatore l’afferrava in tempo per restituirlo agli abissi marini...
Per saperne di più su Achille Campanile e le sue opere, qui c'è un sito non ufficiale completo di estratti audio e video: http://www.campanile.it/
Venti peli. Sulla gamba sinistra. Sotto il ginocchio. E dieci su quella destra. Li ho visti, i bastardi, mentre applicavo il primo dei molti strati di crema che avrebbero accompagnato la mia prima giornata al mare. Alle undici,seduta sulla sdraio regolata sulla seconda tacca (quella della posizione "sdraiata, ma non troppo") , cercavo di fare mente locale su quante altre cose mi potevo essere dimenticata una volta chiusa la porta. Gli asciugamani li avevo portati, i costumi pure, anche le ciabatte e le bottiglie di crema - una era esaurita, dovevo tagliarla nel mezzo per tirar fuori le ultime stille di prodotto, un po' come i siringueiros con gli alberi della gomma in Brasile. Anche un libro avevo portato, assieme al mio lettore mp3. E i panini. quelli li avevo preparati la sera prima, e avvolti nella carta stagnola, anche perchè nel lungo viaggio di andata rischiano di riempire con il loro irresistibile profumo il vagone della metro, causando invidie e risentimenti fra gli altri passeggeri. Durante il primo viaggio (la catàbasi), infatti, si incontrano ben tre categorie di passeggeri: quelli anziani, pallidi,in camicetta con le maniche corte e pantaloni normali con le pinces e mocassini ai piedi -sempre più rari-, gonna e ventaglio per le signore; gli immigrati dell'Est, in maglietta scura e sandali oppure, se ucraine, capelli dal biondo più o meno aiutato e cotonato, denti bianchi e d'oro e magliette tese dai colori chiari; i giovani senza mezzi propri di locomozione, calzati di scarpe da sport geneticamente modificate, pezzi di maglietta e pance nude, pelle abbronzata e compatta, piercing e sopracciglio spinzettato alla Tatangelo (i maschi). Avete mai ristretto un costume da bagno femminile? Quando uscite dall'acqua, e andate a farvi la doccia per togliervi la salsedine e quella medusa che vi si è seduta sulla testa notate un cedimento del vostro costume da bagno sul didietro - lo slip dovrebbe rimanere incollato alla chiappa, e invece non lo fa. Inoltre, un'onda leggermente più grossa delle altre ha provveduto al tracimamento della tetta sinistra dal reggiseno costringendovi ad immergervi improvvisamente come neanche i tuffatori di Acapulco (ed è lì che avete conosciuto la medusa) . Si fa così: si scuciono con le forbicine i lati dello slip e si fanno rientrare i due lembi di stoffa così ricavati di mezzo centimetro ciascuno (totale 1cm). Fatto? Questi verranno uniti non con la colla vinilica con almeno due cuciture di filo forte dello stesso colore del costume. I bordi saranno assicurati all'interno con altre due cuciture, per evitare un imbarazzante crollo mentre si sistema l'asciugamano e la cinese in lontananza grida masaggiooo.La stessa cosa si fa con il reggiseno -scucire le due fettucce che reggono i gancetti sulla schiena, imbastire, fare allo specchio la prova-fermezza con la nuova misura (consiglio una mezza danza del ventre tipo Shakira) e cucire ribattendo senza pietà. Oddio, alcune magari cuciono in modo più approssimativo, ma in quel caso c'è una missione in corso e non è il caso di disturbare. Sulla spiaggia le ciccione sono in maggioranza; ho il sospetto che il problema della cellulite riguardi soprattutto chi scrive sui giornali femminili. I costumi vengono allegramente inghiottiti da pance e glutei, e ho visto coi miei occhi una coppia di tripponi -lei con crociona al collo, lui con costumino nero attillato a sottolinearne la virilità - ,duecento chili in due sotto l'ombrellone, prodursi in effusioni quasi pornosoft. Viceversa, le poche donne magre fanno vita abbastanza solitaria, azzardano un topless ma non se le fila nessuno, anche perchè hanno il marito/fidanzato a dieci centimetri di distanza che si muove e respira con loro come la biancheria in microfibra. E' ora di pranzo: scarto i miei panini, ben presto reclamati dalla medusa, e scoperchio la macedonia di frutta con forchetta incorporata. E' importante togliere di mezzo il cordino dell'auricolare mente mangiate la macedonia, o v'impiglierete con la forchetta rischiando lo strangolamento mentre cercate di mandare avanti (shuffle) le vostre selezioni musicali faticosamente scaricate. Più tardi, potete bere con nonchalance il succo rimasto sul fondo del contenitore (senza farvi accorgere dalla medusa). Alla spiaggia si dovrebbero "lumare i pupi", e qui si nota un fatto essenziale: l'assoluta preponderanza di bermudoni a coprire le zampe maschili. Non è una dimostrazione di superiorità vestiaria, anzi: la maggior parte dei ragazzi ha cura di portare i bermudoni: 1) con l'elastico delle mutande bene in vista -e qui ho visto scritte come Uomo Vero,Under Wear o Calvin Clain-; 2) facendo partire il bermuda appena sotto l'osso del bacino, in modo da far graziosamente notare il pancino piatto e i fianchi senza un filo di grasso. I ragazzi che non dispongono di simili attrattive indossano rassegnati i vecchi calzoncini o gli slip con le "maniglie" in evidenza. Gli anziani del villaggio conservano ancora gelosamente il vecchio costume datato 1967, e non vedono perchè lo dovrebbero cambiare. Sono abbronzati grinzosi, panciuti, hanno peli bianchi sul petto e dispongono di misteriose scorte di pesce appena pescato. Il ritorno dalla spiaggia è una cosa assai elaborata: si prende nota del fatto che le ombre si sono allungate e tutti sono stranamente più tranquilli. Quando gli storni cominciano a saltellare sulla sabbia, è ora di levare le tende. Si comincia con gli asciugamani, che devono andare in fondo alla sacca (uno degli asciugamani deve però rimanere in cima per asciugare le estremità ed evitare di trasportare preziosa sabbia del Demanio a casa). Nelle piccole cabine degli spogliatoi e nel bagno s'incontrano madri affannate a dissabbiare bambini piccoli, mentre i figli (maschi) più grandi dicono di sbrigarsi che devono andare via. Le madri a loro volta si vendicano gridando ai figli (maschi) di togliersi la sabbia dai piedi, ancora non l'hanno fatto, perchè non l'hanno fatto? Andate a farlo, accidenti a voi! Un discorso a parte sono le docce per signori e per signore. Si può capire il sesso di chi frequenta le docce post spiaggia anche senza guardare; il luogo femminile è caratterizzato dal rumore dell'acqua che scorre: nessuna parla o quasi mentre si lava. Due passi più a destra c'è il caos: i ragazzi approfittano per farsi scherzi sotto l'acqua eventualmente tirandosi gliasciugamani bagnati addosso.La sera poi è il regno dei lavacri: il ginseng e il sandalo di shampidocceschiuma si confonde con la legna bruciata del forno della pizzeria che apre la sera. Ho sentito un tipo urlacchiare "Di se-re/nereeee! E non c'è tempo/non c'è spazio/mai nessuno capirà!" uscendo dalle docce profumato come il white musk lo avesse inventato lui. Saluto la medusa e me ne torno a casa. Nel lungo viaggio di ritorno (l'anàbasi) si incontrano sul treno le facce di quelli che hanno soggiornato ai Cancelli di Ostia (Roma). hanno tutti zainetto, a volte ombrello portatile con manico bianco -sempre le donne- e sembrano, o vogliono sembrare, più scalcagnati dei loro colleghi che scendono prima per andare agli stabilimenti. A volte rimangono con tracce di sabbia sui piedi e si sistemano a gambe allargate sui sedili. gli intellettuali sfoderano subito il loro libro, e la loro postura è: gambe strette o accavallate che però scavallano subito perchè essendo ometti non è la più comoda delle posizioni. Fra di loro qualche venditore da spiaggia esausto con il borsone. Quando il treno arriva a Porta San Paolo -il capolinea - si materializzano uscendo fuori dai vagoni tutti quelli che avevi visto all'andata, solo in versione più stracca e arrossata. i bambini strascinano la tavoletta di schiuma per il surf sulla riva, e ci sono anche i turisti di ritorno dagli scavi di Ostia Antica. Assieme a loro, si unisce una piccola fiumana di altri turisti, più due-tre tizi in condizioni mentali precarie. Si è fatta sera. Sono tornata a casa. I venti peli sulla gamba sinistra sotto il ginocchio e i dieci su quella destra dormono il sonno dei giusti.
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