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Quando Corona apparve da MAS

La locandina collage dell'arrivo di Corona da MAS - Magazzini allo Statuto - Roma (sorgente:www.caina.it)


Ora che Corona - unico "famoso" in Italia ad essere chiamato per cognome - è in carcere a Busto Arsizio, tutti si cimentano a commentare la sua vicenda umana. Vi sono anche quelli che prendono le sue difese e quelli che parlano del suo inarrestabile declino. In realtà il declino di Corona non è iniziato in questi giorni, con la cattura in Portogallo dopo tre giorni nella neve dentro una Cinquecento, ma nel settembre del 2009 a via dello Statuto a Roma. 
Nei grandi magazzini Mas Corona doveva fare atto di presenza ogni primo giorno del mese: per l'occasione era stata approntata una campagna pubblicitaria destinata a lasciare il segno negli anni futuri. C'erano all'interno nei tram che sferragliano lungo la direttiva Porta Maggiore - Santa Maria Maggiore - Stazione Termini (quindi vicino a MAS) 

Porta Maggiore (direzione Stazione Termini)

 tre locandine con Corona vestito:
1) jeans e t-shirt bianca
2) jeans, t-shirt bianca e giacca lunga di pelle nera
3) jeans, t-shirt bianca e giubbotto
Queste dovevano essere le tre linee-tendenza di moda maschile presso il magazzino MAS. Ne è rimasta in Rete una testimonianza visiva, questa (sorgente: www.caina.it)



Il look "fico" di Corona


Si sarebbe potuta considerare questa campagna pubblicitaria l'apice della popolarità per Fabrizio Corona, la sua definitiva assunzione in gloria. Invece ne ha segnato lo spartiacque verso il declino. 
MAS non è solo un luogo pieno di articoli militari o fondi di magazzino: rappresenta il tramonto alla puttanesca dell' Occidente. Lungi dalle fighetterie dei negozi vintage dove vestiti e accessori usati vengono trattati - e fatti pagare - come qualcosa di cui soltanto le persone use di mondo hanno bisogno, i cassettoni di via dello Statuto traboccano di cose troppo classiche per passare di moda e troppo poco "caratteristiche" (tranne alcuni pezzi) per interessare veramente i modaioli. non a caso la pubblicità televisiva di MAS era basata sul personaggio di Pierino/Alvaro Vitali che scambiava lazzi e battute fra un reparto e l'altro. Oppure, negli anni dell'Isola dei Famosi, il calendario di Antonio "Er Mutanda" Zequila


Er Mutanda in camicia

 Tutta gente che sa di rivolgersi ad un pubblico "di basso profilo", e che quindi non ha problemi di immagine. Corona no: rappresenta l'uomo che non deve chiedere mai e che entra ed esce da discoteche e patrie galere, che è amico e ricattatore dei VIP, che sta(va) con Nina Moric e Belèn, è insomma un personaggio troppo "bigger than life" per MAS, la cui filosofia è basata piuttosto sul "chi si contenta gode", come ribadito dall'ormai introvabile Samba di MAS del duo The Electrics , ossia Fratelli Balestra: 



 

Se qualcuno il cui credo è farne sempre di più grosse ogni giorno che passa finisce per fare l'imitazione di Fonzie di Happy Days sui manifesti, questo non rende invidiosi i potenziali consumatori e cercatori di mutande a cannolè a 1 euro; 
piuttosto, li rende indifferenti. Non scatta l'identificazione col testimonial, e l'effetto "Marziano a Roma" è assicurato. Non so quali siano state le reazioni dei clienti di MAS quando si sono trovati/e di fronte a Corona: forse avrà gettato loro delle mutande a cannolè.

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Ciao, Mariangela!



  Basta guardarla di Luciano Salce (1970) 


 

Travolti da un'insolito destino nell'azzurro mare d'agosto di Lina Wertmuller (1974)


 

Lo chiameremo Andrea di Vittorio De Sica (1972) 


 

Film d'amore e d'anarchia di Lina Wertmuller (1973)



   
La Poliziotta di Steno (1974) - Trailer


 

Il Gatto di Luigi Comencini (1977)


 

 Dimenticare Venezia di Franco Brusati (1980) - Trailer


 

 Flash Gordon di Mike Hodges (1980)

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Silent Night, Eerie Night

Questa Silent Night  è la versione più struggente e allo stesso tempo più inquietante che possiate ascoltare. Potrebbe essere perfetta per un film dei fratelli Coen (inizio: un uomo deve andare a lavorare come Babbo Natale in un grande magazzino ma la sua auto va in panne in una delle tante strade della provincia americana. Cerca di fermare una delle tante auto che passano per farsi dare un passaggio per il posto di lavoro; si ferma una coppia all'apparenza gentile, ma che nasconde qualcosa di orrendo nel suo pick-up. Riuscirà Babbo Natale ad arrivare vivo a Santo Stefano?)
Cantano Richard Hawley, Jarvis Cocker e Lisa Hannigan.

Buon Natale.

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Mortacci



In questi giorni carichi di mestizia  sarebbe auspicabile riscoprire un film che ha fatto del rovesciamento della vita con la morte la sua bandiera. Il film è Mortacci di Sergio Citti (1989), ambientato in un cimitero. I protagonisti sono ovviamente gli...abitanti del cimitero, ossia i mortacci del titolo. Il cast è fra i più etereogenei di tuttta la storia del cinema, da Vittorio Gassman (il custode del cimitero, in vestaglia rossa e fazzoletto contro il mal di denti) a Carol Alt, da Malcolm McDowell a Sergio Rubini, dai Gemelli Ruggeri ad Alvaro Vitali fino ad Aldo Giuffrè e Mariangela Melato. Come nell' Antologia di Spoon River ogni morto racconta come è finito lì dentro, e c'è una legge che regola l'aldilà: la loro non sarà una vera morte finchè ci sarà ancora qualcuno che "dall'altra parte" li ricorderà. Quando finalmente l'oblio sarà sceso su ciascuno di essi, è allora che potranno finalmente essere liberi di andare dove gli pare ( A Parigi! Tutti a Parigi! dice uno di loro). L'esatto contrario di quello che solitamente viene associato al ricordo: non la chiave per la sopravvivenza dell'umanità, piuttosto la sua prigione. Roba che, se ci si pensa su un attimo, fa rigettare tutto il concetto di "cultura". Gli inquilini del cimitero, dunque, raccontano la loro vita terrena. C'è Sergio Rubini che torna dal fronte e si accorge che non solo tutto il paese lo ritiene morto in guerra, ma ha fatto della sua eroica dipartita lucroso commercio; cosicchè gli conviene di più essere morto anzichè vivo.



C'è Andy Luotto nei panni di Scopone, che nitrisce alla vista di un posteriore femminile e finisce per avere una colica intestinale in spiaggia per avere ingurgitato troppo tè freddo nell'intenzione di far colpo sulla procace barista Michela Miti e così muore di vergogna circondato dalle risate di tutte le donne dello stabilimento balneare: (Attenzione! Visioni ravvicinate di posteriori femminili)



Io sò l'ultimo dei romantici, guarda che ti dò. Una rosa. Io sò l'ultimo, dopo sò finiti. Nessuna donna ha saputo resistere a Scopone, dove passa Scopone non cresce più un pelo, guardami bene, guarda. C'hai qualcosa da dire, me trovi qualche difetto, forse? A me Casanova me lo sgrulla, solo Scopone sa domare le donne. Io le donne le massacro, le sgonfio, le rovino, le mando ar manicomio!

C'è Alvaro Vitali che minaccia di far causa all'impresario funebre Aldo Giuffrè per uno scambio di babbo nella bara, a meno che il beccamorto non paghi per evitare lo scandalo. Vitali ripeterà anni dopo lo stesso numero truffaldino a una coppia di stranieri venuti a riesumare il loro, di padre -



Il padre (rivolto al figlio presunto): Puro io so quanto ti costo! Filio de na m...a!

Vi sono i Gemelli Ruggeri nei panni di due musicisti di strada con cane che si fingono ciechi per impietosire la gente sul sagrato della chiesa. Passa Mariangela Melato e li ingaggia per suonare In The Mood in casa sua mentre lei si allena al boogie-woogie per una gara di ballo con il suo partner. Al momento di pagare i due, la Melato - pensando di imbrogliarli in quanto non vedenti - rifila loro banconote fatte con la carta di giornale. Loro scappano con la borsa e i soldi di lei per finire sotto un treno, cane compreso. L'episodio si apre con la Melato ormai vecchia che muore accanto alla loro tomba. Quindi i due Gemelli sono liberi di partire verso la "vera morte".



Mortacci si conclude con una scena corale in cui i vivi e i morti si guardano, separati dal cancello dell'entrata del cimitero. I morti gettano dei fiori ai vivi - i visitatori - , perché i veri mortacci sono loro, dato che badano a cose che nell'aldilà non hanno più nessuna importanza.
La filosofia del film di Citti sta fra il Totò della Livella (Nuje simme serie: appartenimmo a' morte!) e il Tim Burton di Beetlejuice : i morti vivono, sanno cose che gli altri non sanno e non se la prendono più di tanto - a parte Scopone che non si capacita di avere avuto una dipartita così tragica - morire facendosela sotto -. Lo stesso casting così assurdo - ma sempre meno di quelli di parecchie coproduzioni - è la rappresentazione della casualità della morte come della vita: più di tanto non si può scegliere. E all' "ospite" cinese che si lamenta perché ogni volta viene rubato qualcosa dalla sua tomba (Moltacci vostli!) , Gassman / necroforo / demiurgo non può che rispondere: No: mortacci nostri!

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New York, New York

Un omaggio cinematografico alle Torri Gemelle di New York ( 4 aprile 1973 - 11 settembre 2001) :

Twin Tower Cameos from Dan Meth on Vimeo.

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Il potere della parola

"Ricordate, Sir: tre lampi, poi rosso fisso: siete in diretta"


Vedere Il discorso del re (2010, Tom Hooper) all'arena sotto casa fa un certo effetto.  Non solo perché i film proiettati in uno spazio aperto hanno un'acustica molto particolare - si mescolano alla pellicola il fruscìo degli alberi che circondano lo schermo, gli stridii dei tram in lontananza, il sonoro dell'altro film che stanno proiettando dall'altra parte della piazza, a volte un aereoplano sopra le teste degli spettatori - ma perchè la stessa proiezione "esterna" esalta ancora di più il perno su cui gira questo film. La storia, finora tenuta segreta dalla famiglia reale, del principe Albert, Duca di York e secondo figlio di re Giorgio V d'Inghilterra, incapace di tenere un discorso in pubblico per via della sua balbuzie, e del suo rapporto con Lionel Logue, ex-attore fallito e terapeuta del linguaggio che lo aiuterà ad avere le parole che gli servono per guidare la Gran Bretagna nella Seconda Guerra Mondiale,  non è tanto un film sulla Storia e sugli uomini che hanno contribuito a farla, quanto sulla Parola e sulla sua importanza nella comunicazione moderna. Anche se noi riteniamo di vivere in un mondo d'immagini, in realtà nei secoli passati la comunicazione iconica - religiosa e non - era molto più importante per farsi comprendere dai popoli, dato che pochi sapevano leggere e ancor meno possedevano libri. Il discorso del re si apre con il dettaglio di un microfono della BBC


 del 1925, che apre a sua volta sulla minuziosa preparazione personale del presentatore del discorso del principe Albert duca di York alla nazione.



Come se il pretendente al trono fosse il tramite, e non l'aspetto principale della comunicazione. Importante è il dialogo fra il vecchio re Giorgio V e il balbettante figlio: il primo deplora che ormai un re debba per forza "saper parlare", avere capacità comunicative da guitto , invece di regnare come un tempo solo in base alla presenza fisica (e Albert gli risponde con una frase che viene normalmente attribuita all'attuale regina Elisabetta II : Noi siamo una ditta.) Lionel Logue ce lo mostrano all'inizio mentre tenta, senza successo,  di passare un provino per la messinscena del Riccardo III di Shakespeare. Egli sta per declamare il famoso inizio del dramma, quello dell'inverno del nostro scontento , ma viene subito zittito dal regista che gli dice di volere un interprete più giovane, e soprattutto più regale (Logue è australiano, e qui c'è tutta la protervia inglese nei confronti delle colonie oltreoceano). E'in questo punto che si compie il destino dei due uomini: il re diventerà, al contrario di quanto accade in Amleto, l'interprete dell'attore, sarà lui a recitare la parte che all'attore non hanno permesso di fare. E le parole del discorso del re, nella scena finale, andranno per tutto il Regno Unito compresi i paesi dell' Impero britannico, in una sequenza classica sottolineata  dal secondo movimento della Settima Sinfonia di Beethoven, dove ognuno, in ogni casa e in ogni Paese, sta davanti a un apparecchio radiofonico ad ascoltare l'entrata in guerra dell'Inghilterra nel 1939.



Quindi il re è diventato finalmente, dopo lungo travaglio, un attore che recita la parte del re. La parola, osteggiata dalle circostanze, esce fuori e definisce per la prima volta un uomo e il ruolo che deve avere nella Storia salvandone contemporaneamente un altro dalla mancanza di un palcoscenico. Tutto questo fra i tram che sferragliano, le fronde che stormiscono e i gusci di cioccolato fondente delle Bomboniere crepitanti fra i denti degli spettatori.




Un documento storico: il discorso del re tenuto il 3 settembre 1939. Qui la trascrizione:

In this grave hour, perhaps the most fateful in our history, I send to every household of my peoples, both at home and overseas, this message, spoken as I were able to cross your threshold and speak to you myself.
For the second time in the lives of most of us we are at war. Over and over again we have tried to find a peaceful way out of the differences between ourselves and those who are now our enemies. But it has been in vain. We have been forced into a conflict. For we are called, with our allies, to meet the challenge of a principle which, if it were to prevail, would be fatal to any civilized order in the world.


It is the principle which permits a state, in the selfish pursuit of power, to disregard its treaties and its solemn pledges; which sanctions the use of force, or threat of force, against the sovereignty and independence of other states.
Such a principle, stripped of all its disguise, is surely the mere primitive doctrine that might is right; and if this principle were established throughout the world, the freedom of our own country and of the whole of the British Commonwealth of Nations would be in danger. But far more than this - the peoples of the world would be kept in the bondage of fear, and all hopes of settled peace and of security of justice and liberty among nations would be ended.
This is the ultimate issue which confronts us. For the sake of all that we ourselves hold dear, and of the world order and peace, it is unthinkable that we should refuse to meet the challenge.
It is to this high purpose that I now call my people at home and my peoples across the seas, who will make our cause their own. I ask them to stand calm, firm and united in this time of trial. The task will be hard. There may be dark days ahead, and war can no longer be confined to the battlefield. But we can only do the right as we see the right, and reverently commit our cause to God.
If one and all we keep resolutely faithful to it, ready for whatever service or sacrifice it may demand, then, with God's help, we shall prevail.
May He bless us and keep us all.

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Bambini grassi e riots britannici



Fat children can take your life... Jarvis contro i letali Bambini Ciccioni!

I recenti accadimenti in alcune zone periferiche di Londra (estese poi in altre città come Birmingham o Manchester) hanno dato la stura ad innumerevoli commenti sulle cause di una simile mattanza. I rioters (che non è esattamente "rivoltosi", piutttosto "gente che fa casino") sono stati definiti dal premier Cameron dei perfetti scums, feccia del Regno Unito, mentre una recente inchiesta del Guardian fatta consultando i dati dei tribunali - dove i rioters vengono processati e giudicati a getto continuo - definisce il rioter medio come giovane, povero e disoccupato. Altri elementi di confusione provengono dal fatto che apparentemente queste persone non avrebbero alcuna ideologia alle spalle: hanno appiccato il fuoco ad interi isolati per poi rubare soltanto articoli elettronici, borse e scarpe sportive firmate e smartphone di ultia generazione. Allora, si chiedono centinaia di commentatori, se sono tanto poveri perché saccheggiano il superfluo? Mentre David Cameron minaccia di far controllare tutti i social network per impedire nuovi riots (e allo stesso tempo di tagliare i fondi alla polizia), arrivano sul Web gli editoriali dei giornalisti italiani che illustrano le difficoltà di crescere in un ambiente urbano privo di prospettive; a questi articoli si contrappongono le testimonianze in gran parte scandalizzate degli italiani che vivono in Inghilterra, i quali ribadiscono che gli indigeni poveri si beccano in realtà un sacco di benefits o sovvenzioni statali; che loro, mentre facevano i lavori più umili in terra d'Albione, non hanno mai visto un collega inglese che fosse uno; e che, soprattutto, tante donne inglesi sono grasse e brutte e fanno un sacco di figli con uomini diversi per avere diritto alle case popolari.
Ricordando che ci sono state quattro vittime nel corso degli scontri, il tema delle rivolte urbane in Gran Bretagna non è nuovo nel campo della rappresentazione, e spesso è stato argomento di sequenze cinematografiche epiche ed anche musicali. Qui alcune fra le pellicole più celebri:

Absolute Beginners (Julien Temple, 1986) - disordini a sfondo razziale ed edlizio a Notting Hill , Londra, nel 1958):


Quadrophenia (Franc Roddam,1979) - Scontri fra Mods e Rockers a Brighton e dintorni nel 1964:



Sammy & Rosie vanno a letto (Stephen Frears, 1987) - Rivolta a sfondo razziale di Broadwater Farm, Tottenham, Londra, 1985 (Attenzione! Sequenze a discreto contenuto erotico-interetnico)


Billy Elliot (Stephen Daldry, 2000) - Sciopero dei minatori inglesi nel 1984-1985:



Una testimonianza curiosa è data dalla prima regia di Alberto Sordi, Fumo di Londra, del 1966. L'antiquario anglofilo perugino Dante Fontana, in trasferta a Londra, si trova ad assistere terrorizzato ad una vera e propria battaglia fra bande, fra gli indigeni anziani indifferenti ( Noi abbiamo fatto di molto peggio. La guerra.)





Cosa c'entrano i bambini grassi?

Era stata designata London Calling dei Clash come sigla delle prossime Olimpiadi di Londra nel 2012. Mai brano portò così tanta scarogna, anche perchè nel testo si parlava di zombies of death e di conseguenze fatali per errori nucleari (nuclear errors). In seguito sono stati fatti degli elenchi di canzoni adatte al clima rovente di questi giorni, da Guns of Brixton sempre dei Clash a Ghost Town degli Specials . Non è stata però mai citata una canzone che a mio avviso coglie l'atmosfera di quello che potrebbe avvenire prima di una rivolta.
Si tratta di Fat Children , tratta dal primo album solista di Jarvis Cocker (Jarvis, 2006). Fin dai primi tre versi veniamo catapultati in uno scenario inquietante:

Last night  I had a little altercation
They wobbled menacingly
Beneath the yellow street light it became a situation

Un signore passeggia per stada da solo la notte, ed ha una breve discussione (usa altercation, non fight , e questo già lo denota come appartenente ad una classe sociale superiore). Poi entrano questi esseri che vengono identificati dal modo di muoversi: non si muovono, ma ondeggiano in modo minaccioso intorno alla preda sotto un lampione dalla luce gialla. Non sono recepiti come "normali", e per giunta

They wanted my brand-new phone with all the pictures of the kids and the wife
A struggle ensued

Gli esseri vogliono il telefonino del protagonista: è l'ultimo modello, ed ha dentro le foto di famiglia. Qui abbiamo il primo appunto ambiguo del testo:  il cellulare. Feticcio consumistico evidentemente bramato da entrambi, dato che il primo non lo molla, i secondi lo vogliono ed alla fine si svela l'arcano,  - un po' come nella scena finale di Full Metal Jacket quando i soldati americani scoprono che lo spietato cecchino vietcong era una bambina -

Fat children took my life

Dei bambini ciccioni mi hanno strappato la vita. E qui non si sa se c'è più stupore per l'aggressione mortale o per la stazza dei fanciulli. Come, i teppisti normalmente sono asciutti ed atletici e proprio 'sti tripponi underclass mi dovevano far fuori? Il dramma s'intreccia alla farsa ed anche alla critica sociale, perché le classi sociali più svantaggiate lo sono anche nel peso. Alcuni passanti prendono  l'uomo aggredito e lo conducono alla stazione:

Well, some passers-by took me to the station

Dato che la polizia

Was elsewhere,
Putting bullets in some guy's head for no particular reason

Era impegnata a sparare alla testa di qualcuno per nessun motivo in particolare (riferimento all'elettricista brasiliano ucciso per errore in metropolitana dalla polizia subito dopo gli attentati a Londra nel 2005 perché ritenuto "un possibile terrorista") .  
Il racconto prosegue e ci porta in una dimensione degna di una ghost story dickensiana:

So I died in the back of the cab
But I'll be back to haunt them
This thing does not end here
My spirit walks the streets of Tottenham

Sono morto, ma non finisce qui, il mio spirito vi perseguiterà per le strade di Tottenham (proprio il quartiere degli scontri di questo mese). A questo punto urge una morale, e qui le cose si fanno più ambigue: di chi è  la colpa (quesito su cui si stanno arrovellando nel Regno Unito ormai da quasi un mese) ?

Oh, parents are the problem
Giving birth to maggots without the sense to become flies

La colpa è dei genitori, che fanno nascere larve che non riusciranno neanche a diventare delle mosche decenti! La società civile è ormai scavalcata a piè pari, e fra passanti uccisi che considerano i cellulari più importanti della loro vita e teppisti sovrappeso che zombeggiano al chiarore giallo di un lampione londinese, l'unico consiglio (ironico e postumo) da dare è :

So pander to your pampered little princess
Of such enormous size

Continuate a viziare la vostra piccola principess...ona.

Si è avuta notizia di mamme che, per non far abboffare i loro bambini di merendine, li terrorizzano minacciando di chiamare Jarvis.

Nella mia versione ho dovuto cambiare il verso più significativo, quel took my life che più che a un assassinio fa pensare ad un annientamento molecolare da parte di forze aliene tipo film di fantascienza anni '50. Rifacendomi alla famosa canzone di Nancy Sinatra Bang Bang (My Baby Shot Me Down) , il refrain è diventato :

Bambini grassi bang  


Che rimanda anche all'estetica un po' pop e garage del pezzo (E poi Jarvis scrisse Don't Let Him Waste Your Time per Nancy Sinatra). 



Ecco il testo:

BAMBINI GRASSI


La notte scorsa ho avuto un piccolo diverbio
Tremolavano minacciosi
Alla luce gialla del lampione divenne un inferno
Il mio cellulare nuovo con le foto di tutta una vita
I bambini grassi per quello mi strapparono la mia, di vita


Bambini grassi bang
Bambini grassi bang
Bambini grassi bang


Arrivò un passante e mi trasportò alla stazione
La polizia era altrove
A sparare in testa a qualcuno per qualche ragione
Sono morto poi nel retro del taxi
Ma tranquilli ritorno
Che non finisce mica qui
Il mio spirito vi bracca per le strade di Londra


Bambini grassi bang
Bambini grassi bang
Bambini grassi bang


Oh, la colpa è di quelli
Che fanno nascere larve che mosche non saranno mai
Viziate ancor di più la vostra cocca
Di cento chili e più



Una registrazione di Fat Children dall'unico concerto che Cocker tenne in Italia, a Milano nel 2007 (completa di frutta.)

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I cinematografari





"Dopo la TV c'è il cinema, dopo il cinema la radio, e poi la morte..."



Vicino casa vedo spesso i caratteristici camion portattrezzi e furgoni con dentro le rastrelliere con i costumi appesi ognuno ad una gruccia, con il nome dell'attore/trice segnato a penna su un foglietto a quadretti preso da un bloc-notes. A volte i contenuti di questi furgoni escono dalle portiere e invadono gli spazi fra il marciapiede e la zona della strada preposta al parcheggio. Così si vedono ferri da stiro collegati a caldaie a vapore sopra assi da stiro a fiorellini e cavi, cavoni e cavetti collegati ad enormi prese dove non si riesce a distinguere il Maschio dalla Femmina.  

Attorno a questo armamentario fanno la guardia alcuni loschi figuri; si distinguono dai buoni villici del posto per l'atteggiamento che hanno nei confronti del territorio. Stanno seduti sulle seggiole o in piedi avvinghiati ai telefonini a sbracciarsi di qua e di là. Si vede che non hanno il senso dello spazio che possiedono coloro che vivono da tanto tempo in un posto. Stanno con gli occhiali da sole dalla montatura pesante (quelli che vogliono apparire cool) o con i giacconi e la barba di tre giorni. Se chiedi cosa stanno girando, il più delle volte ti rispondono stracchi: una fiction , o il titolo del film con l'aria di dire: che, non lo sai? Si rivolgono ai succitati buoni villici con lo stesso tono che si usa per farsi dare le cose, un misto di pazienza e persuasione coatta. Sembrano sempre in attesa di qualcosa, e in effetti girare una scena comporta al novanta per cento dei casi l'attendere qualcosa o qualcuno. Sono i lavoratori dell'immagine in movimento o, volgarmente (sempre secondo i buoni villici del posto), i cinematografari. Qualche volta hanno la barba di due giorni, a volte i capelli legati dietro con l'elastico, sempre col giaccone.
Un film recentissimo dedicato al mondo di questi operatori - tratto da una serie televisiva che però è andata in onda sul satellite, così l'hanno vista color che sanno - è Boris - Il Film .  La parabola dello sfigatissimo regista Renè Ferretti
che vorrebbe lasciare lo schifoso mondo della fiction a puntate per girare un film di denuncia sulla Casta ma che viene risucchiato dall'ancor più schifoso mondo del cinema e costretto a trasformare l'incendiario script in un cinepanettone pieno di volgarità non è nuovissima come idea .Ogni tanto infatti compare sullo schermo la storia di un regista che vorrebbe fare il film di alto livello ma le cui buone intenzioni sono stoppate dal crudele mondo del cinema commerciale che vorrebbe, appunto, realizzare cose commerciali. Il divertimento di questo tipo di soggetti sta nell'osservare fino a che punto il malcapitato cineasta è disposto a svendersi, e se il film così trasformato avrà successo o no. In Boris vengono descritti nelle loro aberrazioni tutti i componenti di un sistema chiuso che a volte fatica ad  arrivare al grosso pubblico:  il produttore televisivo che ha paura di trattare con le case produttrici "di nicchia", dato che teme di finire per indossare pelosi maglioni girocollo e occhialetti; la Grande Attrice afona-passiva-aggressiva; l'attrice "cagna maledetta" che trova un barlume di recitazione fissando su un foglietto il quesito 8 X 12 ; gli sceneggiatori che fanno scrivere i trattamenti al domestico filippino mentre loro giocano a tennis; il direttore della fotografia che sovraespone e basta e gli altri animali del serraglio del set possono essere goduti appieno solo se si hanno presente coloro ai quali si ispirano (sospetto che fra quelli che hanno visto con me Boris all' Arena di Piazza Vittorio parecchi fossero "del mestiere"). Renè non ha abbastanza - o non gli viene riconosciuto - talento per comandare su tutti, (a differenza di un Pallottole su Broadway dove il talento drammaturgico di un gangster, sia pure in extremis, viene premiato), cosicchè la sua sconfitta morale e artistica a un certo punto viene inconsciamente desiderata. Ed è infine, nel buio della sala fra le mille risate, Natale con la Casta, che mette d'accordo persino i produttori intransigenti col profilo affilato e il golfino blu. Qual è allora la morale della parabola? Che la Concorrenza in realtà si fa concorrenza da sola, purché uno chiuda gli occhi per un attimo? Che l'unico modo di descrivere la Casta è quello sbrindellato dei cinepanettoni?  E 'sti c...? Che il giovane Ratzinger deve correre sul prato al ralenti  con una colonna sonora "emozionante"? Che Gianfranco Fini deve comparire nel film a tutti i costi? Boris - Il Film non accusa nessuna delle fazioni in lotta, fa vedere il cinema italiano dall'interno della casa di Boris: che è un pesce.

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Ia ia oh!


Un eroe del nostro tempo



Raramente una mentina è entrata così prepotentemente a far parte delle ossessioni mentali italiane. Sì, c'era stata molti anni fa la liquerizia Tabù nella sua eterna scatolettina rotonda di latta in stile retrò con sopra lo slogan vagamente freudiano e... vivrai di più! . Tabù aveva questo spot celeberrimo ispirato ad Al Jolson e al manifesto del Cantante di jazz , ufficialmente il primo film sonoro della storia del cinema.






Liquerizia pura, questo è un sogno per me / che rabbia se mancassi, se non fossi con me aaaaargh!

Ora le mentine si sono moltiplicate, si sono anche trasformate in chewingum e non c'è più solo l'opzione Anche bianco! , ma migliaia di possibilità: la mentina salva i tuoi denti e ti fa illudere di risiedere in Svezia come l'Alberto Sordi del Diavolo , ti fa innalzare verso vette mai tentate prima, ti dà il coraggio di dire la verità e individuare i seni finti delle passeggere su un tram.
Questa mentina però va oltre. Basa sì il suo messaggio sull'iperbole, ma ci aggiunge una buona dose di follia. Prendendo un medium stra-parodiato - che già di per sè è una parodia - come la soap opera, lo spot Vivident Blast del 2011 è arrivato oltre lo scopo che intendeva prefiggersi.





Quella che doveva essere una presa in giro dei continui colpi di scena di una normale puntata di una soap - e infatti era alla "coda" con la presentazione del prodotto che doveva essere riservata la parte ritenuta più surreale, quella del presentatore in stile Monty Python e del Capodoglio che piomba addosso sulla scrivania - è diventata il catalizzatore dello stato d'animo di una generazione.

Abbiamo:

1) - il Padre che dolente guarda alla finestra




e poi si rivolge al Figlio (fuori piove). Arredamento del soggiorno di tipo intellettual-benestante, con libreria parete sullo sfondo.

2) - il Padre dice Figliolo, c'è una cosa che devo dirti. Pianoforte e pioggia sullo sfondo. Il mood è serissimo, la prima volta che si vede lo spot ci si casca con tutte le scarpe.

3) - primo piano del Figlio in pullover marrone, non più tanto giovane.

4) - a 00:10 arrriva la bomba: Non sono tuo padre. Primo piano perplesso del Figlio.

5) - Il Padre si slaccia il cardigan azzurro di lana. Al posto della maglietta della salute ci sono due seni in un busto.



Primo colpo di scena: Sono tua madre!

Il Figlio distoglie lo sguardo, gli manca il respiro,


manca pure a noi che pensiamo "Ma non doveva essere una pubblicità?".



6) - In realtà si sta preparando il secondo colpo di scena: il Figlio si accascia, grida con voce strozzata E io non sono tuo figlio! per poi rialzarsi di scatto. E' tirato da dei fili. E' un altro, cioè è lui ma è una marionetta. Il padre con i seni che sporgono dal cardigan lo guarda a dir poco esterrefatto (doveva essere lui il colpo di scena!) Come se nel finale di A qualcuno piace caldo Marilyn Monroe rivelasse di essere un uomo.


Il Figlio ora zompetta nel soggiorno cantando quello che ora è diventato l'inno dell'estate: Sono una marionetta ia ia oh! sulle note di Nella vecchia fattoria. Poi arrivano il presentatore, il capodoglio, il prodotto, lo slogan, ma a quel punto la tensione è scemata da un pezzo. Cosa sconvolge di più in questo spot? Alcuni hanno colto dei riferimenti a Pinocchio (il padre/madre come Geppetto, il figlio/marionetta, il capodoglio/pescecane); credo però che l'elemento più perturbante sia il ribaltamento di quello che noi intendiamo per "famiglia". Riusciamo ad accettare che in una drammatizzazione un uomo giovane e bello si riveli essere una donna o viceversa, perché comunque non è l'idea della bellezza fisica ad essere intaccata. Quando invece è un vecchio a rivelare di essere una vecchia (come nel terrorizzante finale a sorpresa de La casa dalle finestre che ridono di Pupi Avati), le nostre certezze sono seriamente scosse, come se la sessualità entrasse in un corpo che non ha più a che fare con essa per raggiunti limiti di età.
La piéce teatrale tedesca Max Gericke di Manfred Karge parla di una vedova costetta per non morire di fame ad assumere l'identità del marito operaio morto. Nel monologo la protagonista, ormai vecchia, tenta disperatamente di riagguantare i brandelli della sua defunta identità femminile, e vediamo alla fine questa donna vecchia e malandata scovare i suoi caratteri sessuali secondari dentro l'abituccio da pensionato della Germania Est.




Elisabetta Pozzi in Max Gericke al Teatro Due di Parma (2009)



Lo spettatore si trova a provare uno spaesamento molto simile a quello dello spot Vivident Blast. Ma è il figlio/marionetta il vero colpo d'ala della narrazione: ognuno si sente un po' tirato dai fili del destino, specie in questi ultimi anni, e l'idea di un uomo fatto e finito col pullover marrone che getta la maschera e proclama di "essere una marionetta" ha un che di liberatorio, specie se detto con voce stonata in un soggiorno azzurrino-Interiors con ia ia oh come commento finale. E' insomma il solito concetto immortale della maschera che ci portiamo attaccati per tutta la vita.



Ia ia oh.

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"Not cool, man! Scary, but not cool!"


" A South-American idol...."

In questi giorni pieni di idoli francesi e italiani a un passo dalla polvere, giova ricordare che è in circolazione nelle sale cinematografiche e in Rete il più bel pezzo mai scritto da un po' di tempo sull'ascesa e caduta di un essere vivente. Si trova nel film Rio 3D (Carlos Saldanha, 2011), e parla di un pappagallo.
Di un Cacatua dal ciuffo giallo (cacatua sulphurea), per l'esattezza. In Rio il ruolo del villain è ricoperto sì, da Marcelo il bracconiere di uccelli selvatici insieme ai due aiutanti stupidi - eredità de La carica dei 101 (Walt Disney, 1961) (Orazio e Gaspare) ; è però il perfido pennuto a rubare la scena. Lui adora essere cattivo, e la ragione è che un tempo era stato un divo della televisione e del cinema. Inizia a parlare così:

Oh, I know I'm not a pretty birdie... But I used to be quite a looker...The STAR! Lights. Cameras. Action!

Da notare la scena in cui si svolge il "numero": una vera e propria coreografia e scenografia alla Bob Fosse, dove pochi elementi illuminati che sbucano da un buio teatrale commentano le parole della canzone. Ad esempio, nel numero Cell Block Tango (nella versione italiana Il tango delle assassine) tratto dal musical Chicago , in cui sei donne che hanno ucciso i propri uomini raccontano la loro storia, le sbarre che si rincorrono ossessive ricordano le gabbie in cui stanno rinchiusi gli uccelli di Rio pronti per essere portati via:









Ma torniamo a Nigel. Lui inizia a cantare sentendosi naturalmente parte di un palcoscenico, ed è infatti - in un film tutto incentrato sui rapporti fra Natura e Cultura - un uccello praticamente rovinato dall'essere considerato umano.

I had it all: the TV shows,
and women too
I was tall...
Over one foot two!


Nella versione italiana diventa più pudicamente

ma ero al top, alla tivù,
con mille fan
volavo alto
ero proprio al clou!

Ma il destino cinico e baro gli mette in mezzo alle zampe

a pretty parakeet to fill my shoes
that's why I'm so evil, but I do what I do!


Questa dichiarazione di malvagità consapevole ha il suo capostipite nel discorso di Satana del Paradiso perduto di John Milton:

Farewel happy Fields
Where Joy for ever dwells: Hail horrours, hail [ 250 ]
Infernal world, and thou profoundest Hell
Receive thy new Possessor: One who brings
A mind not to be chang'd by Place or Time.
The mind is its own place, and in it self
Can make a Heav'n of Hell, a Hell of Heav'n. [ 255 ]
What matter where, if I be still the same,
And what I should be, all but less then he
Whom Thunder hath made greater? Here at least
We shall be free; th' Almighty hath not built
Here for his envy, will not drive us hence: [ 260 ]
Here we may reign secure, and in my choyce
To reign is worth ambition though in Hell:
Better to reign in Hell, then serve in Heav'n.

Addio, campi felici,
dove la gioia regna eternamente! E a voi salute, orrori,
mondo infernale; e tu, profondissimo inferno, ricevi
il nuovo possidente: uno che tempi o luoghi
mai potranno mutare sua mente. La mente è il proprio luogo
e può in se fare un cielo dell’inferno, un inferno del cielo
Che cosa importa dove, se rimango me stesso; e che altro
dovrei essere allora se non tutto, e inferiore soltanto
a lui che il tuono ha reso il più potente? Qui almeno
saremo liberi; poiché l'Altissimo non ha edificato
questo luogo per poi dovercelo anche invidiare,
non ne saremo cacciati: vi regneremo sicuri, e a mio giudizio
regnare è una degna ambizione, anche sopra l'inferno:
meglio regnare all’inferno che servire in cielo.

In italiano però il proclama di Nigel diventa un

Mi girano le penne
ma non è un complimento


che sembra più una reazione stizzita ad un cambio di orario lavorativo. Nigel invece viene bruscamente licenziato dalla sua vita "umana". Lo sostituisce alla TV un grazioso parrocchetto locale (notare che lui, essendo un cacatoa, quindi proveniente dall'emisfero australe, è il classico "straniero cattivo" che si trova anche in tutti i film di 007) La sua ira è così funesta che sogna di vendicarsi e sovvertire tutto l'ordine aviario brasiliano: vuole che tutti gli ottanta milioni di uccelli siano brutti come lo è lui adesso, un Dorian Gray con le penne, con i segni del vizio e del rancore scritti in faccia:





All of you Brazilian birds
All of eighty million birds
I'll tell you what I'm going to do
(Shaddap, now, SHADDAP! Just me.)
I'm going to
make
you
ugly
too.
Sweet nightmares! Uhahahahahaaa!!!

Così Nigel si ritrova a dover odiare i "fratelli di piuma" e addirittura a mangiarseli (è diventato cannibale, si ciba di cosce di pollo!) Si allea così con il bracconiere Marcelo e i suoi due scagnozzi. Assolda - sempre ricattando - una squadra di scimmiette ladre come rete di informatori. In questa scena "persuade" il capo-scimmia, con un metodo degno delle torture che Bugs Bunny infliggeva al suo cacciatore Taddeo:





Nigel è l'altra faccia del rapporto degli uomini con gli animali: se il pappagallo protagonista, Blu, è l'animale casalingo e pieno di buoni sentimenti perché ha avuto una "mamma" umana adottiva che gli ha insegnato quanto poteva (e di questo lui è riconoscente), Nigel è il risultato di come gli uomini possano rovinare gli animali facendo loro assaggiare e poi togliere "il successo", concetto squisitamente umano . Rio è un film su come sia contraddittoria la società umana riguardo agli animali, rendendo questi ultimi un minuto schiavi e il minuto seguente oggetto di cure incessanti per stabilire con loro un contatto. Il povero Nigel, abbandonato dall'umanità e dal successo nel mondo dello spettacolo, soccombe all'invidia e alla cattiveria.

Like an abandoned school, I've got no principles!

Gioco di parole intraducibile fra principle (principio) e principal (preside di scuola).



Fra Baby Jane e Crudelia Demon (la risata folle), il nostro cacatoa detronizzato è uno dei "cattivi" disneyani più efficaci non usciti dalla Disney (del resto tutto Rio è un omaggio alla Disney.)La voce originale è quella di
Jemaine Clement dei Flight of the Conchords ,

che dà un timbro fra il sinistro e il sexy ( The STAAAHHH...) al pennuto vendicatore.

Nella versione italiana è quella di Mario Biondi , che non sfigura a confronto anche se nonostante gli sforzi non ha i livelli di "cattiveria" di Jemaine. Anzi, in alcuni momenti - ma questo temo sia colpa della direzione del doppiaggio - ha delle scivolate "effeminate" ( e che TALENETO! ) che non c'entrano niente col personaggio originale (I had it all, the TV shows, and WOMEN too!). Inoltre Nigel diventa Miguel, rendendo incomprensibile il fatto che ce l'abbia proprio con gli uccelli brasiliani.

A voi pennuti brasiliani
Ottanta milioni e più
Dirò che cosa vi farò poi
Vi renderò
tutti (
Ora basta. SILENZIO!)
Renderò
brutti
anche
voi!
Incubi d'oro! Uhahahahahaaa!!!








Tutto questo, per dirla con Blu, è not cool.

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Piccoli terremoti






Oh, these little earthquakes / here we go again / these little earthquakes / doesn't take much to rip us into pieces



E così a Roma il terremoto non c'è stato.
La giornata si era aperta nella quiete più assoluta - i negozi cinesi sprangati, quasi niente traffico per strada - tanto che si udiva un passero, in bilico sulla canna fumaria che fuoriesce dalla parete del palazzo davanti alla finestra della cucina, cinguettare stentoreo in attesa che un suo collega gli rispondesse. La visione era degna più di un film di fantascienza post-apocalittico, dove il protagonista unico sopravvissuto umano si aggira per le strade in attesa che si appalesino vampiri e zombie (sempre nel secondo tempo, dopo aver mangiato l'ultima Bomboniera.)
Nel pomeriggio ritornavano i sopravvissuti lambendo le strade, e tutto ritornava come prima, mancavano solo i cinesi all'appello. Nel frattempo nel mondo televisivo si sovrapponevano tante piccole scosse telluriche, come la chiusura anticipata di Ciak, si canta! o la sostituzione, causa semifinale di Coppa Italia, della serie I Liceali con la replica del film Titanic , che a sua volta ha generato un'altro piccolo terremoto come il mancato matrimonio di Leonardo Di Caprio con Bar Refaeli.

Altre scossette di assestamento sono state date dalle notizie sempre più esagitate che turbinano nei telegiornali: Bin Laden teneva dei DVD porno sotto al letto, i SIMS sono diseducativi per Giovanardi e Casini, una donna è stata appesa al tredicesimo piano di un palazzo a Roma a testa in giù, un prete è stato arrestato per pedofilia e spaccio di cocaina, a Tremonti non importa un fico secco delle spiagge, il direttore del FMI è saltato addosso a una cameriera d'albergo prima di andare a parlare con la Merkel di quale fine farà la Grecia.
Ora che sono passati quattro giorni, e da due ore un acquazzone ha lavato via definitivamente il ricordo della presunta maledizione-bufala di Bendandi , mi chiedo quali altri terremoti non appariranno sulla terra per poi deflagare in tutto quello che facciamo.
Ah, un terremoto c'è stato. In Spagna.

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Che fano i giovini di ogi invece de amare la Chiesa?





"Fresca e spumeggiante..."



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Non sono il Messia!






"Ma chi vuoi che ci creda..."

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Pulizie di primavera


La camera da pranzo della casa dei fratelli Collyer, a New York, come venne trovata dalla polizia nel 1947.



Il primo di aprile è passato, ma la notizia che più si avvicina ad un pesce d'aprile è di tre giorni fa.

Riguarda un pensionato del Tuscolano (ampio quartiere a Sud-Est di Roma) che ha riempito di ogni genere di spazzatura la sua casa, di cui è comproprietario, e anche le sue due macchine. La polizia municipale si è trovata di fronte a tre tonnellate di rifiuti che occupavano ogni angolo della casa. Non c'era corrente elettrica, e le Forze dell'Ordine hanno dovuto strisciare al buio sopra e sotto cumuli di cianfrusaglie. E'stato stimato che ci vorranno almeno cinque giorni soltanto per portare tutti i rifiuti fuori dalla casa.

Il grave disturbo di cui soffre il pensionato è la disposofobia, ossia l'imprescindibile impulso ad accumulare oggetti di ogni tipo - anche se non servono - fno al punto da non potersi più muovere dentro casa. In inglese viene chiamata anche hoarding disorder (lett. "Sindrome dell'accumulo"). Questo disturbo può sembrare suggestivo, ma nella realtà dei fatti è un vero inferno per i parenti e i vicini di casa della persona accumulatrice (una testimonianza in questo blog); a New York è diventata leggenda la tragedia dei due fratelli Homer e Langley Collyer, rampolli di una famiglia benestante della New York d'inizio '900: alla morte dei genitori, i due fratelli si chiusero sempre di più nella casa di famiglia riempiendola di qualunque cosa riuscissero a trovare in giro, tanto che nel 1947 trovarono alla fine il cadavere smangiucchiato dai topi di Langley sotto una catasta di oggetti (Homer, l'altro fratello, paralizzato e cieco, era morto diversi giorni prima di fame). Il grande scrittore americano E. L. Doctorow ne ha tratto spunto per un romanzo, Homer & Langley, ispirato alla vita dei due fratelli newyorkesi. A ben ragione: c'è infatti qualcosa in questa malattia di sinistramente affascinante, forse perchè uno dei pilastri dell'umanità è proprio quello di accatastare tutti gli oggetti che possano avere un qualche significato per il nostro vissuto (dalle statuine nelle tombe egizie che simboleggiavano la vita quotidiana al ruolo che hanno i musei nella cultura moderna). Senza scomodare la Terra Desolata di T.S. Eliot (Con questi frammenti ho puntellato le mie rovine), se un centinaio di oggetti su cui inciampiamo in casa ci fa vivere meglio, perché non un migliaio? Ricordo che in un reparto Medicina dell'ospedale Umberto I -dove tanti anni fa fu ricoverata mia nonna - c'era una vecchietta che tutti chiamavano "ragnetto", perché camminava a gambe larghe (pare che la sua deformità fosse dovuta ad un avvelenamento da candeggina ingerita da giovane). Questa paziente aveva una particolarità: conservava tutte le mozzarelle che le venivano date durante i pasti. Quando morì, trovarono il suo tesoro caseario dentro al comodino: decine di mozzarelle andate a male. Il ricordo della vecchietta mozzarellomane mi ha sempre perseguitato durante tutti questi anni, e solo ora posso inquadrarlo come un caso ospedaliero di disposofobia. In realtà c'è un po' di questo disturbo in tutti noi, che tendiamo dopo un po' di vita trascorsa a "museificare" le nostre vite, come se senza tanti oggetti accanto non riuscissimo a lasciare nessuna traccia sulla Terra. La sequenza finale di Quarto Potere (Orson Welles, 1941) con la visione dall'alto di tutti gli averi di Charles Foster Kane è una versione epica della disposofobia, e la sola cosa importante ("Rosebud") finirà dentro al camino senza che nessuno dei presenti se ne accorga.



Un altro film, questa volta comico, o meglio grottesco, porta lo hoarding a livelli parossistici: Nient'altro che guai (Nothing But Trouble, 1991) di Dan Aykroyd. Questa pellicola ha avuto uno scarso successo di pubblico e critica, e obbiettivamente non è molto riuscita, ma trae la sua forza proprio dalla sua sgangheratezza, e oggi può essere vista come un inno all'accaparramento compulsivo. Si veda ad esempio la scena in cui il banchiere Chevy Chase e l'avvocatessa Demi Moore cercano di fuggire dalla casa maledetta del perfido giudice ultracentenario Valkenheiser di Valkenvania (un Dan Aykroyd sotto tonnellate di trucco)



Insomma, la disposofobia è dentro di noi, frenata a stento dai mobiletti portatutto Ikea, e aspetta solo un cenno per esplodere.