Ritorno al futuro


Grande Giove...



Cosa rende una foto una foto? Non è soltanto la resa su pellicola (ora in pixel per sopraggiunto progresso) di un soggetto qualsiasi, ma la raffigurazione del Tempo in persona. Se nel passato lo scorrere degli anni veniva raccontato, nei casi migliori, da qualche ritratto o statua e per il resto da descrizioni letterarie, con l'avvento dell'immagine il passato e il presente sono Qui e Ora. Il cinema continua ad immortalare volti e corpi destinati a invecchiare e scomparire, e fa un certo effetto vedere un film di cinquant'anni fa e sapere che il piccolo esercito che lo ha aiutato ad esistere si è nel frattempo estinto. Noi abbiamo nei nostri cassetti decine di immagini di noi stessi ripresi in varie epoche della nostra vita, laddove le famiglie reali di secoli fa disponevano "soltanto" del ritrattista di corte che li doveva dipingere per consegnarli "in eterno" al popolo e ai posteri, e quindi aveva bisogno di alterare un po' fisionomie e lineamenti (niente a che vedere con la Photoshoppizzazione odierna, che è piuttosto il desiderio di allinearsi ai canoni estetici tracciati dai media). I tipi dentro quelle foto stazzonate col bordino dentellato, quelle polaroid dai colori ormai impastati ci guardano come se continuassero a vivere in un periodo tutto loro in attesa che qualcuno dal futuro stabilisca un contatto. La fotografa argentina Irina Werning ha creato la De Lorean adatta: ha chiesto a varie persone di mettersi nella stessa posa in cui stavano in una loro vecchia fotografia. Il contesto è uguale, lo sfondo pure, persino i colori vintage - con un minuzioso lavoro di post-produzione - sono identici. Sono le persone, nello stesso "quadro" della loro infanzia, ad essere irrimediabilmente invecchiate. Il risultato è altamente inquietante, come se fossero intrappolate nel loro stesso passato. Viene in mente Jumanji (1995),



un film "per ragazzi" che parte dallo stesso concetto della Werning: un ragazzo rimane prigioniero in un gioco da tavolo per ventisei anni, e chiede ad altri due ragazzi che ventisei anni dopo stanno facendo lo stesso gioco di liberarlo. Il ragazzo ovviamente è cresciuto (lo interpreta Robin Williams), e tutta l'operazione diventa via via - nonostante l'uso degli effetti speciali, come giungle paludi e coccodrilli che invadono casa - sempre più triste e grottesca: stringi stringi è la storia di un qualcuno che non è potuto crescere e che chiede disperatamente aiuto. Più indietro nel tempo abbiamo Bette Davis che non riesce a tirarsi fuori da Baby Jane Hudson in Che fine ha fatto Baby Jane? (1962) e piroetta in soffitta col fiocco in testa canterellando I've Written A Letter To Daddy .



Tutti questi ritratti "dissociati" fanno parte di una corrente della fotografia che, lungi dall'offrire un risultato "bello" a chi guarda, si prefigge piuttosto di fornire una riflessione sul modo in cui noi stessi amiamo guardarci da quando la fotografia da arte di atelier posseduta da pochi

Quando mio nonno
Caporal di fanteria
Stava quattro giorni in posa
per mandare a Rosa
La fotografia!

è diventata un'arte alla portata di tutti i cellulari o smartphone. Aggiungendo un elemento dissonante come lo stesso soggetto ripreso ad anni di distanza, Irina Werning ci costringe a guardare queste immagini "banali" e senza pretese artistiche (non a caso il risultato meno convincente lo si ha proprio con una foto "di studio"; sembra che il soggetto sia lo stesso invecchiato artificialmente):



Pose innocenti di bimbe seminude si trasformano, una volta che dette bimbe crescono, in qualcosa di leggermente imbarazzante, facendoci aprire gli occhi sul concetto di "innocenza":



Un'operazione molto simile è stata fatta dalla francese Clarisse D'Arcimoles con la mostra
Un-Possible Retour . La D'arcimoles gioca stavolta non con la memoria di estranei, ma con quella della sua stessa famiglia. Il risultato è, se vogliamo, più vibrante emotivamente rispetto all'analisi della Werning, come testimonia questa foto:


Nella seconda foto non compare uno dei due personaggi: è il papà. Rimane la figlia, grande, con delle bolle di sapone. E' dai tempi di Ritorno al Futuro (il film), in cui Marty McFly guarda la foto di famiglia che si è portato appresso e scopre di non esserci più - non sarebbe mai nato - che lo scorrere del tempo non è stato più raccontato in modo così efficace.

Qui un video sulla minuziosa preparazione degli scatti di Un-Possible Retour:



1 commenti:

dona ha detto...

Un post davvero interessante, sono felice di conoscerti Tamcra.
Ti ho aggiunta anch'io ai miei link e tornerò domani a proseguire la lettura.
Buona notte, intanto.