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Il caricabatterie e l'acqua

Non c'è più campo!



Quando si va a trovare un parente, o noi stessi veniamo ricoverati in un ospedale, vi sono due cose assolutamente da non dimenticare.
La prima è il caricabatterie per il telefonino. Questo oggetto ha un'importanza strategica per il soggiorno e lo stato post-dimissionario del paziente. Infatti, la prima cosa che si va a cercare una volta assegnati al letto non è l'infermiera, ma la presa di corrente. Si vedono pazienti con i tubi della flebo, e parenti appresso a loro con la spina del caricabatterie in mano, che cercano in tutta la stanza le prese di corrente. Queste a volte si trovano sopra al letto, accanto alla luce al neon. Altre volte però sono nascoste dai successivi ammodernamenti della stanza, oppure sigillate da un filo collegato al campanello per chiamare gli infermieri. In questo caso le persone in visita esprimono vivace disappunto e tornano il giorno dopo con una prolunga, oppure fanno caricare il cellulare del parente allettato (vuol dire che è stato messo a letto, non che è stato attratto da un'offerta speciale) su qualunque presa riescano a trovare. A volte girano per i corridoi, a volte vanno in sala operatoria e staccano l'impianto luci durante l'operazione pur di attaccare il caricabatterie. Quanto al paziente allettato, una volta caricato il cellulare si accorge che quest'ultimo a volte "prende" e a volte no. Seguono scene penose di gente in pigiama, flebo e cellulare in mano che si incrocia da un punto del corridoio del reparto all'altro con amici e parenti, i quali a loro volta si dirigono nell'angolo opposto a quello dove stanno loro. (Non c'è campo! Due tacche!). Neanche Antonio Meucci faticò così.
La seconda è la bottiglia dell'acqua, o la quest (o viaggio dell'eroe) per essa. Portarne un litro intero non è consigliabile, dato che le bottiglie di plastica grandi tendono a scivolare dalle mani e ad allagare i comodini affogando cellulari e pillole senza pietà fra le bestemmie degli allettati. Si va allora per il formato da 0,75 ml, o "bottiglietta". Questa viene portata con il vassoio del pranzo, ma non è mai fresca, così ci si prepara a un'altra caccia, più metafisica: quella appunto per la bottiglietta. Ci si divide in gruppi di due-tre persone e, se l'ospedale è grande, si cammina da un corridoio all'altro e da un reparto all'altro in cerca di bar semi-nascosti - il "bar dentro l'ospedale" è sempre ricavato da un androne e indicato da cartelli con frecce simili a quelle delle trappole di Vilcoyote nei cartoni animati-.

Al bar i cercatori d'acqua fanno una prima fila fra i camici svolazzanti e ciancicati di medici e dottorandi, poi una seconda fila al bancone tenendo d'occhio l'aiuto barista che deve dare il succo di mirtillo alla dottoressa, tre caffè a tre parenti venuti da Benevento e non far bruciare la pizzetta col prosciutto per l'infermiere. Alla fine la bottiglietta con l'acqua fresca - bicchiere sopra il tappo - viene brandita insieme allo scontrino come il Santo Graal.
Diversamente, i famigerati distributori di bibite e merendine ci vengono incontro. A meno che non funzionino, e lo saprete sempre troppo tardi (il credito è esaurito), questi offrono in larga parte bottigliette di minerale gassata. Solo uno dei tre pulsanti disponibili è collegato a quelle di acqua naturale "leggermente frizzante". Si controlla che la spia accanto al pulsante che rilascia la bottiglietta non sia rossa. E' verde. Si preme il pulsante. Forte.
Allora, funziona questa baracca? Ci si sente chiedere alle nostre spalle.
Un tonfo sordo (l'acqua che cade nella buca) risponde al nostro posto. Noi però aspettiamo con ansia un altro rumore, quello del resto in moneta che scende giù e tintinna nella buchetta in basso a destra, separato dallo sportellino di metallo.
Monete. Improvvisamente comprendiamo Paperon de' Paperoni.


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Undici undici undici


Speravo di postarlo alle 11:11.

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La musica è finita

8 traditori e un mistero

Ecco
La Camera è finita
Gli eletti se ne vanno
persino la Carlucci
Sto nei Casini !
Ho aspettato tanto in Parlamento
Ma non è servito a niente

Niente.
Nemmeno una parola
E pure Straquadanio
S'è chiuso nel furgone
E non parla
Nascondendo il suo disappunto, inseguito dalla folla.

Cosa non darei
Per sapere il nome
Di quegli otto che
Mi hanno consegnato
Alle mie dimissioni
E a salire sul Colle.

Ecco
La musica è finita
Malgeri ha ritardato
M'hanno rimasto solo
'Sti cornuti
Un ventennio è lungo da finire
Se la maggioranza non c'è più
Non buttate via così tutto quello che ho distrutto
Fin qui



Ornella Vanoni canta La musica è finita (musica di Umberto Bindi, parole di Franco Califano) in Partitissima nel 1972

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Mortacci



In questi giorni carichi di mestizia  sarebbe auspicabile riscoprire un film che ha fatto del rovesciamento della vita con la morte la sua bandiera. Il film è Mortacci di Sergio Citti (1989), ambientato in un cimitero. I protagonisti sono ovviamente gli...abitanti del cimitero, ossia i mortacci del titolo. Il cast è fra i più etereogenei di tuttta la storia del cinema, da Vittorio Gassman (il custode del cimitero, in vestaglia rossa e fazzoletto contro il mal di denti) a Carol Alt, da Malcolm McDowell a Sergio Rubini, dai Gemelli Ruggeri ad Alvaro Vitali fino ad Aldo Giuffrè e Mariangela Melato. Come nell' Antologia di Spoon River ogni morto racconta come è finito lì dentro, e c'è una legge che regola l'aldilà: la loro non sarà una vera morte finchè ci sarà ancora qualcuno che "dall'altra parte" li ricorderà. Quando finalmente l'oblio sarà sceso su ciascuno di essi, è allora che potranno finalmente essere liberi di andare dove gli pare ( A Parigi! Tutti a Parigi! dice uno di loro). L'esatto contrario di quello che solitamente viene associato al ricordo: non la chiave per la sopravvivenza dell'umanità, piuttosto la sua prigione. Roba che, se ci si pensa su un attimo, fa rigettare tutto il concetto di "cultura". Gli inquilini del cimitero, dunque, raccontano la loro vita terrena. C'è Sergio Rubini che torna dal fronte e si accorge che non solo tutto il paese lo ritiene morto in guerra, ma ha fatto della sua eroica dipartita lucroso commercio; cosicchè gli conviene di più essere morto anzichè vivo.



C'è Andy Luotto nei panni di Scopone, che nitrisce alla vista di un posteriore femminile e finisce per avere una colica intestinale in spiaggia per avere ingurgitato troppo tè freddo nell'intenzione di far colpo sulla procace barista Michela Miti e così muore di vergogna circondato dalle risate di tutte le donne dello stabilimento balneare: (Attenzione! Visioni ravvicinate di posteriori femminili)



Io sò l'ultimo dei romantici, guarda che ti dò. Una rosa. Io sò l'ultimo, dopo sò finiti. Nessuna donna ha saputo resistere a Scopone, dove passa Scopone non cresce più un pelo, guardami bene, guarda. C'hai qualcosa da dire, me trovi qualche difetto, forse? A me Casanova me lo sgrulla, solo Scopone sa domare le donne. Io le donne le massacro, le sgonfio, le rovino, le mando ar manicomio!

C'è Alvaro Vitali che minaccia di far causa all'impresario funebre Aldo Giuffrè per uno scambio di babbo nella bara, a meno che il beccamorto non paghi per evitare lo scandalo. Vitali ripeterà anni dopo lo stesso numero truffaldino a una coppia di stranieri venuti a riesumare il loro, di padre -



Il padre (rivolto al figlio presunto): Puro io so quanto ti costo! Filio de na m...a!

Vi sono i Gemelli Ruggeri nei panni di due musicisti di strada con cane che si fingono ciechi per impietosire la gente sul sagrato della chiesa. Passa Mariangela Melato e li ingaggia per suonare In The Mood in casa sua mentre lei si allena al boogie-woogie per una gara di ballo con il suo partner. Al momento di pagare i due, la Melato - pensando di imbrogliarli in quanto non vedenti - rifila loro banconote fatte con la carta di giornale. Loro scappano con la borsa e i soldi di lei per finire sotto un treno, cane compreso. L'episodio si apre con la Melato ormai vecchia che muore accanto alla loro tomba. Quindi i due Gemelli sono liberi di partire verso la "vera morte".



Mortacci si conclude con una scena corale in cui i vivi e i morti si guardano, separati dal cancello dell'entrata del cimitero. I morti gettano dei fiori ai vivi - i visitatori - , perché i veri mortacci sono loro, dato che badano a cose che nell'aldilà non hanno più nessuna importanza.
La filosofia del film di Citti sta fra il Totò della Livella (Nuje simme serie: appartenimmo a' morte!) e il Tim Burton di Beetlejuice : i morti vivono, sanno cose che gli altri non sanno e non se la prendono più di tanto - a parte Scopone che non si capacita di avere avuto una dipartita così tragica - morire facendosela sotto -. Lo stesso casting così assurdo - ma sempre meno di quelli di parecchie coproduzioni - è la rappresentazione della casualità della morte come della vita: più di tanto non si può scegliere. E all' "ospite" cinese che si lamenta perché ogni volta viene rubato qualcosa dalla sua tomba (Moltacci vostli!) , Gassman / necroforo / demiurgo non può che rispondere: No: mortacci nostri!