"Permessoooo!" |
Mattina del 27. Giorno dopo S. Stefano, di solito dedicato a tutte quelle faccende che si preferisce rimandare a dopo Natale. La sera precedente non chiudo occhio a causa di un forte dolore al fianco sinistro. Faccio colazione e prendo subito dopo una bustina di antidolorifico, certa che il dolore passerà.
Faccio tre passi e sento una fucilata nel cervello.
Altri tre passi e mi aggrappo al primo mobile davanti a me.
Non riesco ad urlare, apro solo la bocca per svariati lunghissimi secondi. Quando la chiudo, mi ritrovo con la gamba sinistra che non si può muovere senza produrre stilettate di dolore.
Provo a ritornare a letto. Non riesco più a trovare una posizione per far tacere le stilettate. mentre il letto si disfa sempre più, prendo una decisione: chiamo l'ambulanza col 118.
Quando arrivano, io quasi mi vergogno, mentre il medico e i portantini entrano in casa (avevo detto a mio fratello di mettersi davanti alla porta per aprire), di far vedere loro la stanza in disordine, ma tant'è, saranno abituati a scene peggiori. Dopo alcune domande atte a riempire il modulo per l'ospedale, mi spostano in due - non posso muovermidel tutto, lo ricordo ancora - e mi accompagnano all'ascensore e quindi all'ambulanza.
All'interno dell'ambulanza, il medico mi dice di trovare una posizione in modo da sentire meno dolore possibile. Questo è un particolare inportante, dato che in quella posizione sarò destinata a rimanerci per un bel po'.
Vedo la strada scorrere dalle finestre dell'ambulanza, e mi viene in mente che l'ultima volta che sono salita sopra un veicolo del genere fu quando dovetti accompagnare mia madre all'hospice per l'ultima degenza della sua vita. Anche il tempo -soleggiato invernale - era lo stesso. Una ventata di freddo annuncia la vine del viaggio e il trasbordo al Pronto Soccorso.
Dall'atrio passo al corridoio, sfiorando altre barelle ed altri destini.
Vedere il mondo dalla barella consente di avere due prospettive: la prima, quella degli altri pazienti che essendo anche loro in barella sono al tuo stesso livello e si attorcigliano come te in lenzuola, giacconi e coperte. Vengono ricoverate le signore anziane, e tutte sono rigide con il cappotto imbottito la loro borsa sulla pancia e qualcuna anche la permanente, ma ogni cosa sembra priva di senso, come se qualcuno avesse fatto loro uno scherzo. Gli uomini invece stanno perlopiù scomposti e intenti a telefonare a qualcuno (Aò, ciò 'r ginocchio come 'na zampogna!), comunque sembrano più a loro agio nel Corridoio dell'Attesa. Sì, perchè si tratta di
ATTENDERE.
Anni e anni di telefilm ospedalieri hanno inculcato nei pazienti il terrore dell' Evento: l'incidente che fa arrivare decine di codici rossi mentre voi siete solamente verdi. Cosicchè ogni volta che si apre la porta che porta al corridoio alcune teste debolmente si alzano. Se riescono a vedere soltanto un braccio e un ginocchio sanguinante e niente flebo, sospirano di sollievo.
Il sentimento dell'attesa fa sì che altre cose abbiano la priorità sulla Vita e la Morte: la prima è quella di trovare un bagno libero e possibilmente praticabile per liberare la vescica (se si è riusciti a farla prima di andare in ospedale sì è già a metà della lotta e non toccano penose richieste di padelle e pappagalli). La seconda riguarda il cibo. Qualunque tipo di cibo va bene nelle prime ventiquattr'ore, e qui tornano buoni eventuali parenti e amici che con un filo di voce vengono spediti al bar o davanti alle macchinette distributrici, e che poi ritornano con la borsa nella mano destra, il resto nella sinistra e i sacchetti di cibo in mezzo ai denti. La bottiglietta d'acqua è un affare serio: si perde nei drappeggi della coperta dell'ospedale e viene ritrovata dagli infermieri quando finalmente smontate dalla barella.
Dov'è la bottiglietta dell'acqua? |
Incastrati nella barella imparate a distinguere le persone ragionevoli da quelle decisamente fastidiose (a prescindere da ciò che hanno). Quando arrivano donne alte un metro e quarantacinque infilate in giacconi imbottiti informi gli infermieri tremano. Queste donne vengono da situazioni personali a dir poco complicate e non hanno più nulla da perdere: si fiondano nelle stanze o in qualunque bugigattolo dove ritengono operino "idottori" e iniziano a fare domande sui loro parenti assistiti. Se non si dà loro retta o le si invita a restare nel corridoio si ottiene una reazione che va dal Sì, ma come sta al Chiamo i Carabinieri! Se invece si dà loro retta dopo cinque minuti se la prendono con i parenti che sono venute ad assistere (E smettila di gridare!). Dopodichè si rintanano torve su una panca in compagnia della figlia cinquantatreenne, riconoscibile dalla tintura per capelli più bionda e dal giaccone imbottito di una sfumatura più chiara rispetto a quello della madre. La figlia brandisce un cellulare di penultima generazione -la madre ha quello di terz'ultima - facendone gemere i tasti nelle sue manone e chiede aiuto a tutti quanti, zia Adelina e pompe funebri comprese.
Il personale medico e paramedico sguscia via dalla vostra visuale, e distinguete chiaramente brandelli di dialogo che vanno dal conteggio di ore di straordinario a quale percentuale di voti ha preso il delegato all'assemblea. Vicino alle feste si scambiano baci, abbracci e domande su chi copre il turno e chi no. Mentre la bottiglietta dell'acqua è arrivata all'altezza del calcagno sinistro e la coperta pencola pericolosa all'esterno vi chiedete quanto potete ancora sopportare quella pinza che stringe e allenta il nervo all'altezza del fianco. Stringete le spondine della barella mentre la signora volontaria vi dice che c'è un codice rosso nella sala visite 1. Voi augurate mentalmente una sincope al codice rosso che si permette di stare al vostro posto in sala visita, e cercate di spostare la coperta un po' più al centro senza cadere di sotto. Quando vi sembra che il risultato sia buono, arrivano due infermieri per trasferirvi su un letto e liberare così la barella per l'ambulanza. Tutto da rifare. Ogni tanto passano esseri sui lettini che non si capisce se sono già morti o no. Quando sembra non esserci più speranza per voi chiamano il vostro nome. Improvvisamente vi sbracciate come un naufrago del Titanic quando vide il Carpathia
nell'alba gelida dell'Artico. Vi riacchiappano prima che possiate cadere giù dal letto e vi portano in sala visita.
Il dottore ne ha viste tante, e si vede. Avete la sensazione che le pareti della sala visita contengano tutti i dolori di tutti i pazienti della settimana. Mentre gli infermieri vanno e vengono, passate la visita cercando di raccontare con fare disinvolto brandelli della vostra storia clinica (il leitmotiv è: Avete ALLERGIE?) e vi ritrovate in mezzo agli spifferi a correre verso il reparto di Radiologia. Una lastra. Al bacino. Nello stanzone di Radiologia cominciate a sentire il Freddo della malattia. Sono allineate quattro barelle, con quattro donne sopra, una delle quali ha i baffi (Signò, quando màa fate la TAC? - La TAC una è. Lo sapete quanti siete voi? Su, signora bella, non faccia così ). Il vostro turno arriva prima del previsto, e nella stanza delle radiografie vi dovete distendere a pancia in su con le gambe piegate. Facile se si sta bene, un inferno se la pinza non molla il nervo all'esterno del fianco. Il radiologo deve fare un'esame d'inglese, e si lamenta del pessimo accento dei sussidi audio in lingua che deve ascoltare. (Un accentaccio, mio dio...) Il libro lo conosco: è il corso più famoso delle scuole medie e superiori, ricordo ancora la prima vignetta che parlava di un attore di film dell'orrore che nella vita reale amava i fiori e i bambini - oggi una didascalia simile sarebbe improponibile -
Ritornate in superficie e vi piazzano con la barella nel corridoio davanti allo stanzino con la posta pneumatica. E lì fate una scoperta: nello stanzino una vecchina con una testa che sembra una di quelle rimpicciolite della Nuova Guinea vi tiene tutti i suoi averi. Le infermiere tentano di convincere la vecchina a traslocare il suo sacco, e ne segue un'accesa discussione proprio davanti ai vostri piedi. Vorreste dire la vostra fra il rumore dei contenitori della posta che salgono e scendono e gli strepiti della vecchia rimpicciolita, ma nel frattempo avete un attacco di fame. Tirate fuori dalle pieghe della coperta la vostra razione K: un saccetto di patatine. Lo sgranocchiate piano pensando a quante tribù di rimpicciolitori di teste ci sono ancora in giro.
Il dottore vi dice che non ci sono fratture. Però bisognerebbe fare la TAC.
4 commenti:
Urca, Tamara! Non immaginavo lontanamente... Sindrome del piriforme? :(
Credo di sì, comunque alla TAC l'ardua sentenza...
E ci lasci in sospeso così? Un abbraccione, tienici aggioranti
Ciao Watkin e Buon 2013! Il seguito alla prossima settimana (se ancora sarò su questa Terra...)
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