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Paul Newman, 1925 - 2008


"Non esistono altre cause, esiste questa causa..." (Il Verdetto)

Fra tutte, la scena dell'arringa finale ne Il Verdetto di Sidney Lumet (1981), scritto da David Mamet. Il personaggio interpretato da Newman, Frank Galvin, sta per pronunciare l'arringa finale da cui dipende il suo caso e la sua vita. Questo discorso è uno dei più belli di tutta la storia dei legal movies (e oserei dire del cinema in generale), e a mio parere andrebbe appeso su tutti i muri. Questa è la scena originale del film - da notare l'interpretazione dimessa, ma per questo assolutamente efficace di Newman, e come questa venga esaltata da un totale all'inizio - a sottolineare l' indifferenza della corte (non dimentichiamo che Frank Galvin è il loser della storia, un avvocato alcoolizzato dalla carriera rovinata per un caso di corruzione) . Lentissimamente la scena stringe sull'avvocato, mentre noi avvertiamo sempre più il peso delle sue parole, che, lo sappiamo, valgono per l'arringa ma anche per sè stesso e per tutti noi.


Questa è la scena come appare nello script originale, seguita dalla sua versione italiana:

INT. COURTROOM - JUDGE HOYLE'S P.O.V. - FULL COURTROOM - DAY
All looking slightly to their right.

ANGLE

JUDGE SWEENEY
Mr. Galvin...?

ANGLE - GALVIN
In front of the full jury box. Beat.

GALVIN
You know, so much of the time we're lost. We say, 'Please, God, tell us what is right. Tell us what's true. There is no justice. The rich win, the poor are powerless...' We become tired of hearing people lie. After a time we become dead. A little dead. We start thinking of ourselves as
victims.
(pause)
And we become victims.
(pause)
And we become weak... and doubt ourselves, and doubt our institutions... and doubt our beliefs... we say for example, 'The law is a sham... there is no law...I was a fool for having believed there was.'
(beat)
But today you are the law. You are the law... And not some book and not the lawyers, or the marble statues and the trappings of the court... all that they are symbols.
(beat)
Of our desire to be just...
(beat)
All that they are, in effect, is a prayer...
(beat)
...a fervent, and a frightened prayer.

GALVIN
In my religion we say, 'Act as if you had faith, and faith will be given to you.' (beat)
If... If we would have faith in justice, we must only believe in ourselves. (beat)
And act with justice.
(beat)
And I believe that there is justice in our hearts.
Thank you.

He stands still a moment, then surveys the still courtroom.



Frank Galvin (Paul Newman)

Noi per lo più nella vita ci sentiamo smarriti. Diciamo: "Ti prego, Dio, dicci che cos'è giusto, dicci che cos'è vero". E non esiste giustizia. Il ricco vince e il povero è impotente.
(Pausa)
Ci sentiamo... stanchi di sentire le menzogne della gente. E con il tempo diventiamo morti. Un po' morti, sì... considerando noi stessi... come vittime. E ci diventiamo vittime. Diventiamo... diventiamo deboli. Dubitiamo di noi, di ogni nostro principio. Dubitiamo delle nostre istituzioni. E dubitiamo della legge. Ma oggi voi siete la legge.
(Si avvicina ai giurati. Scandendo)
Voi siete la legge. Non i libri, non gli avvocati. Non una statua di marmo... o l'apparato della Corte. Quelli sono solo simboli del nostro desiderio... di essere giusti. Ma essi sono... sono di fatto una preghiera. Sono una fervente, una spaventata preghiera. Nella mia religione si dice: agisci come se avessi fede. E la fede, la fede ti sarà data. Se... se dobbiamo avere fede nella giustizia... ci basta solo di credere in noi stessi... e agire con giustizia. E credo ci sia giustizia nei nostri cuori. Grazie.

Grazie, Paul.

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Riunione

Non ci sono vestiti nuovi al Centro.
Nelle riunioni settimanali i pazienti e i loro parenti si confrontano, ascoltati e consigliati da operatori e psichiatri. Cercano tutti di tirar fuori quello che hanno dentro, e stanno in una grande stanza con una piccola biblioteca a sinistra. Le sedie sono in cerchio, in modo che ognuno possa vedere e non dare la schiena all’altro. Su un tavolino ci sono delle caraffe termiche con tè, caffè americano e dei dolcetti.
In realtà tirar fuori quello che si ha dentro, ed essere contemporaneamente guidati in modo da esprimere un pensiero articolato, non è roba facile. Sai di essere lì con altre persone che possono avere problemi anche più o meno grandi dei tuoi, e se sei un paziente sei accompagnato da un parente il più delle volte, e devi spiegare le tue sensazioni riguardo alla malattia. Il mondo della moda non entra al Centro e i pazienti finiscono per avere tutti un look particolare, come se a vestire loro ci abbia pensato qualcun altro dopo lunghe e ripetute rimostranze. Vi sono camicie aperte sul petto villoso o chiuse fino all’ultimo bottone, pantaloni tenuti su da bretelline da film muto che scoprono scarpe senza calzini, giacche tirolesi e magliette alla marinara, vestiti a fiori e scarpe da allenamento che hanno visto giorni migliori (o forse mai). I parenti si dividono invece in due categorie: quelli che si aggirano in felpa e calzoni e giubbotto, e altri che invece vogliono mantenere un controllo apparente all’esterno: così vestono maglioncini abbastanza attillati, trucco e capelli ossigenati (per le donne) e stivali col tacco. Prende la parola una madre, e con le mani in grembo sintetizza in cinque minuti una vita di dolore appresso alla figlia che ha cominciato le sue prime crisi dopo i diciott’anni, dieci ore di lavoro tutti i giorni, non riusciva più ad andare a scuola, quand’era piccola le avevamo comprato un’enciclopedia perché si istruisse…Il marito tace, tutt’uno con la sedia, si capisce che è la moglie a titare le fila di tutto e se ne sta lì sulla sedia a raccontare e raccontare come se fosse su un palcoscenico, finchè il dottore non la interrompe sintetizzando in qualche modo il suo pensiero per permetterle di pensare ed essere ricettiva al mondo. Un’altra madre ha un completo nero e puntualizza con una lunga introduzione i problemi del figlio. Il figlio, un ragazzone massiccio dalle labbra piene puntualizza ripetendo ogni tanto due volte quello che dice, con quell’ansia che di solito hanno i pazienti di non lasciarsi scappare nessun particolare. Vengono rivelate giornate tremende, porte sbattute, crisi notturne, litigi e urla ; il tono è allo stesso tempo minimizzante e ansioso di essere preso sul serio. Un altro paziente racconta di come è riuscito a pagare un bollettino alle poste, nonostante lo scetticismo di sua madre; ha il plauso di tutti i presenti, anche fra i pazienti vi sono quelli più desiderosi di apparire e quelli che se ne stanno per conto loro. I piedi stanno tutti fermi, le scarpe inchiodate al pavimento. Uno dei pazienti si addormenta di colpo, mentre altri due discutono animatamente sul significato dell’esperienza, e non sono d’accordo in niente.
I dottori vestono in modo rassicurante, con maglioni e jeans dai colori neutri, gli occhiali appesi al collo, le dottoresse amano mise che non le possano caratterizzare più di tanto, ma che abbiano un aspetto curato. Ogni tanto però aggiungono dei piccoli particolari, come un foulard, o un paio di occhiali con la montatura colorata.
Non voglio crescere. (Sorride di un sorriso etrusco e abbraccia l’operatrice)
Lo sappiamo, ma se i tuoi genitori non ci saranno più come farai?
Il discorso di dipana e si intreccia per poi dipanarsi di nuovo, e ognuno cerca di trovare il bandolo della sua matassa, con le stoffe dei vestiti sempre un po’sgualcite. Le borse sono a terra, o abbarbicate ai loro proprietari, come se fossero un organismo unico. Quando arrivano le undici e mezza si sa solo che non si è arrivati a niente, ma che per tre ore ci si è guardati in faccia. E per una volta, la locuzione “guardarsi in faccia” non sembra una metafora dell’inutilità.

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Il maestro unico

Ricevo, e volentieri pubblico:


Il maestro unico


Il decreto 137 emanato il 1°settembre contiene anche la norma sulla restaurazione del maestro unico nella scuola elementare.Il ministro Gelmini ha “saggiamente” dichiarato: “In passato è stato introdotto il modulo, che prevedeva tre maestre, per cercare di creare occupazione attraverso la scuola. Ora dobbiamo mettere al centro gli studenti. Avere un maestro unico nella scuola primaria risponde non solo all’esigenza di razionalizzare ma anche ad un’esigenza pedagogica. E’ un modo non per tornare al passato ma per centrare la scuola sull’esigenza d’apprendimento del ragazzo”.No, ministro Gelmini, lei toglie ai bambini e alle famiglie di questo Paese, al Paese stesso, un modello di scuola che dà tante cose in più e che dal prossimo anno non darà più.Ci stiamo ponendo tante domande sul futuro della scuola elementare. Proviamo ad elencarle e a dare alcune risposte:Come funziona attualmente il tempo scuola nell’elementare? Nel modulo tre docenti lavorano su due classi, con un orario per gli alunni di 30/34 ore a settimana (variabili se gli alunni consumano i pasti a scuola nelle giornate di tempo più lungo);nel tempo pieno due insegnanti coprono 40 ore di attività settimanali dei bambini di una classe.E gli insegnanti? La legge 148 mantiene 22 ore di lavoro settimanali, più 2 dedicate alla programmazione e circa 4 di riunioni e lavori di team docente. Oltre a queste ore, c’è il lavoro di studio e preparazione della didattica Le poche ore di contemporaneità, nelle, quali due docenti della stessa classe sono presenti entrambi a scuola con i bambini, servono a realizzare percorsi individualizzati per alunni o gruppi che hanno bisogno d’attenzione specifica.Quante ore di scuola avranno i bambini dal prossimo anno scolastico? 24 ore a settimana con un solo insegnante, cioè 4 ore per 6 giorni o 5 ore e 20 minuti per 5 giorni.Che cosa insegnerà l’unico maestro della classe? Tutte le materie, forse esclusa la Religione Cattolica.E l‘insegnamento della lingua straniera ? Il ministero sta spingendo perché tutti i maestri in servizio insegnino l’inglese nella propria classe, con le competenze già possedute (a volte non adeguate) o corsi annuali.E le competenze specifiche acquisite dagli insegnanti nel corso degli anni, permettendo loro di specializzare la didattica, mantenendo sempre un approccio integrato tra discipline? Sarà tutto vanificato dalla necessità di insegnare poco di tutto in tempi ristretti.Quante attività di ricerca e di approfondimento, quanto gioco finalizzato all’apprendimento attivo si potranno realizzare con 24 ore di funzionamento settimanale? Nulla: queste attività richiedono tempo, presenza di più docenti e tempo per la programmazione.Quali laboratori (scienze, pittura, musica, teatro, danza, cinema...) potranno essere attivati? Nessuno, durante le 24 ore.Quante uscite sul territorio, quante gite culturali, quanti campi-scuola si potranno fare? Nessuna.Come si potranno aiutare i bambini che hanno più carenze o assistere quelli diversamente abili in mancanza di docenti di sostegno, fortemente ridotti in tutta Italia, e delle ore di compresenza? Ai bambini non potrà essere garantito l’insegnamento individualizzato.Chi si occuperà dei bambini stranieri che affrontano le difficoltà di un ambiente estraneo anche per la lingua? Nessuno.E le mense e il tempo scuola? In molti comuni le famiglie dovranno riorganizzare il proprio tempo per far fronte alla mancanza di mense, oppure esse verranno gestite dal personale comunale, diverso dai docenti, personale estraneo alla relazione didattica. Torneranno probabilmente i doposcuola e le mense, pagate però dalle famiglie o dagli enti locali.Cosa significa che le scuole diventeranno fondazioni? Le scuole - fondazioni non risponderanno più al dettato Costituzionale ma ad un Consiglio di Amministrazione privatizzato che finanzierà le attività e sceglierà gli insegnanti. Sarà la fine della scuola che opera secondo indirizzi unitari su tutto il territorio nazionale e forma la cittadinanza italiana.Immaginiamo la giornata scolastica del 1° settembre 2009: I bambini in classe sono sempre con lo stesso insegnante che potrà svolgere solo lezioni “frontali”. Niente gruppi di lavoro, niente pause, niente laboratori. Nelle 24 ore sono comprese 2 ore di Religione Cattolica, informatica, inglese, attività motoria, musica e forse qualche disegno. Quanto resta per l’apprendimento d’italiano, matematica, scienze, storia, geografia e studi sociali (che la ministro ha ribattezzato educazione Civica e ha pensato di aver reintrodotto?).Forse due ore al giorno. Niente interdisciplinarietà, la conoscenza non si costruirà in modo collettivo, ma con l’acquisizione di nozioni sul libro e con molti esercizi a casa.Dunque ministro Gelmini, sono proprio gli studenti che si stanno mettendo al centro dell’attenzione? Ma di quali esigenze pedagogiche si parla? Questa “innovazione” è basata solo su esigenze di cassa, ma distrugge la ricchezza di una scuola pubblica che è considerata tra le migliori del mondo.Così c’impedisce di pensare ad un futuro migliore per i nostri figli.In quanto poi all’occupazione nella scuola, una tale ristrutturazione porterà alla perdita di 87.000 posti di lavoro. Il Tempo pieno, oggi presente in maniera molto diseguale sul territorio nazionale (90% delle classi nelle grandi città del Centro Nord e 4% di quelle del Sud , dove ce ne sarebbe più bisogno, soprattutto per colmare i disagi sociali e culturali) verrà probabilmente azzerato nei territori "deboli” e mantenuto, ma a spese delle famiglie e degli Enti Locali, nelle zone più ricche. Il dimagrimento imposto alla scuola elementare servirà in realtà per distribuire alle regioni, in un’Italia federata, un servizio poco costoso che poi solo le regioni più ricche potranno rendere migliore e più qualificato, ovvero per privatizzare la scuola.


Il coordinamento Genitori-insegnanti Scuola Iqbal Masih - Roma

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Happy Birthday, Jarv!

Come ti vedo ti fulmino...



Sono stati fatti grandi festeggiamenti e versati fiumi d’inchiostro per i cinquant’anni di Madonna. Siccome questo è un blog piccolo e senza pretese, ho deciso di festeggiare i 45 anni di Jarvis Cocker.
Ho già parlato di un suo vecchio pezzo in un mio post precedente (Spie e spioni. Il caso Pulp); questa invece è una canzone tratta dal suo album solista del 2006, Jarvis. Si chiama Don’t Let Him Waste Your Time, era stato scritto originariamente per Nancy Sinatra. Ecco la prima versione live, tratta da una trasmissione inglese del 2004 condotta da Jonathan Ross:




Ha un video molto divertente. Ispirato alla gag dei titoli di testa di Una pallottola spuntata 33 1/2 (l'insulto finale) (la soggettiva dell’auto della polizia che irrompe in qualunque luogo),





mostra Jarvis nei panni di un tassista a Londra intento a dare buoni consigli alla bella passeggera in ambasce amorose, solo che li dà evitando di mettere le mani sul volante, con tutte le conseguenze…



Il testo di Don’t Let Him Waste Your Time è infatti una piccola predica (i nati sotto il segno della Vergine, del resto, amano predicare col ditino puntato) sul fatto che bisogna evitare come la peste coloro che in amore “fanno perdere tempo” per poi decidersi magari altrimenti. La canzone-predica ha comunque origini antichissime, dai Cautionary Tales o racconti ammonitori della canzone popolare irlandese e americana, fino a buona parte degli anni d’oro della musica soul negli anni ’60 (basta pensare a You Can’t Hurry Love delle Supremes per fare un esempio: non bisogna affrettare l’amore!, afferma convinta Diana Ross).

Don’t Let Him Waste Your Time

well you can stay all night if you want to

you can hang out with all of his friends
you can go and meet his mother and father
you better make sure that's where it ends

cause baby, there is one thing you gotta know....

let him read your palm and guess your sign.
let him take you home and treat you fine....
but baby, don't let him waste your time
don't let him waste your time

cause the years fly by in an instant
and you wonder what he's waiting for
and then some skinny bitch walks by in some hotpants
and he's running out the door

so remember that one thing that you gotta know...

let him read your palm and guess your sign
let him take you home and treat you so fine
but baby, don't let him waste your time

You ain't getting no younger
and you've got nothing to show
so tell him that it's now or never
and then go go go go go!!!

he can have his space and he can take his time
and he can kiss ya where the sun don't shine
baby, don't let him waste your time
don't let him waste your time...


Non farti usare mai

Tu puoi andare in giro la notte
E anche uscire con gli amici suoi
Puoi andare a pranzo dai suoi genitori
E’ sempre meglio prima che poi

Ma una cosa sola tu dovrai sapere…

Che ti legga la mano o indovini chi sei
Che ti porti lui a casa e ti richiami poi, ma
Da un uomo non farti usare mai
Non farti usare mai

E gli anni passano e neanche li vedi
E tu ti chiedi cosa aspetterà
E c’è una squinzia coi tacchi a spillo
E la corda lui taglierà

Ricorda quel che dovrai sapere…

Che ti legga la mano o indovini chi sei
Che ti porti lui a casa e ti richiami poi
Da un uomo non farti usare mai
Non farti usare mai

Giovane non ci torni
Ma di cosa puoi vantarti
Digli che è adesso o mai
E poi vai vai vai vai vai vai!!!

Lui può prendersi tutto quanto il tempo che vuole
E baciarti persino dove non batte il sole, ma
Da un uomo non farti usare mai
Non farti usare mai...


Nella mia versione ho trovato un grosso ostacolo proprio nel titolo: letteralmente non significa “non perdere tempo”, ma “non lasciare che LUI ti faccia perdere tempo”. Come farlo entrare in un verso solo, inoltre mantenendo il suono [ai] alla fine? Ho finito per cambiare tutta la frase lasciando – si spera – il senso originale, e time è diventato mai . La skinny bitch in some hotpants poi non ha riscontri in italiano; si tratta di una donna che fa della sua magrezza la chiave del suo successo – hanno pubblicato anche la Dieta Skinny Bitch di recente - . Qui è detto in tono chiaramente di disprezzo, quindi un termine come squinzia, seguito da tacchi a spillo (hotpants non si può rendere con calzoncini, troppo colonia marina e poco sesso) potrebbe andare.
Con questo spero di aver reso l’idea sostanziale del pezzo, che è sarcastico come la maggior parte delle liriche di Jarvis, ma ha un suo fondo dolente, anche se la musica ha molti echi anni '60 (Phil Spector ecc.). Che nessuno perda tempo!

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Lo scherzo infinito

La mitica Pacific Princess (The Love Boat)

Vorrei parlare di David Foster Wallace, e della sua morte improvvisa, ma preferisco riportare un brano tratto da Una cosa divertente che non farò mai più (A Supposedly Fun Thing I'll Never Do Again), un reportage da una crociera extralusso nei Caraibi ommissionato allo scrittore nel 1998.
Qui Wallace descrive il mondo delle crociere, chi ci lavora, chi le comanda, chi se le gode, chi è invidioso della nave attraccata accanto alla sua, ecc.ecc. La sua è una scrittura lungi dall'essere sprezzante nei confronti delle cose e persone che descrive; l'agghiacciante si stempera nel pietoso, e tutt'e due sfociano nel comico assoluto. Qui in particolare si sofferma sulla radiosa e ricattatoria brochure pubblicitaria della nave extralusso Nadir su cui s'imbarcherà a breve. Da notare l'uso delle digressioni a piè di pagina nel racconto, degno del Tristram Shandy di Laurence Sterne.


Cap. Quattro, pagg. 20 – 22 (ed. Minimum Fax, 1998 – Trad. Gabriella D’Angelo e Francesco Piccolo)

“Vi basterà affacciarvi dalla nave e guardare il mare per sentirvi già profondamente solevati. Mentre vi lascerete trasportare come una nuvola sul’acqua, il peso della vita quotidiana svanirà come per magia, e vi sembrerà di galleggiare sopra un mare di sorrisi. Non soltanto quelli dei vostri amici passeggeri, ma anche quelli del personale di bordo. Mentre uno steward vi servirà con piacere qualcosa da bere, gli accennerete qualcosa circa i sorrisi dell’intero equipaggio. Lo steward vi spiegherà che ogni membro dello staff Celebrity trae piacere dal compito di rendere la vostra crociera un’esperienza completamente libera da preoccupazioni e dal trattarvi come un’ospite d’onore (13). Inoltre, aggiungerà, non esiste altro posto al mondo dove vorrebbero stare. E voi, voltandovi a guardare il mare, sarete completamente d’accordo con lui”.
La brochure della Celebrity 7NC usa sempre la seconda persona plurale. E’ una scelta assolutamente appropriata. Perché nella concezione della brochure, l’esperienza della 7NC non è descritta, ma evocata. La vera seduzione della brochure non consiste tanto nell’invito a sognare quanto nella vera e propria costruzione del sogno. Questa sì è pubblicità, ma con uno strano risvolto autoritario. Nei normali spot rivolti a un pubblico adulto, fanno vedere persone bellissime in un momento di felicità che rasenta l’illegale, con dialoghi che includono il nome di un certo prodotto, e si suppone che voi sogniate di essere proiettati nel mondo perfetto della pubblicità attraverso l’acquisto di quel prodotto. Nelle solite pubblicità, in cui la vostra capacità di azione e la vostra libertà di scelta devono essere manipolate, l’acquisto presupposto dal sogno; è il sogno che viene venduto, e non c’è nessun’altra proiezione vera e propria nel mondo della pubblicità. Non si ha mai la sensazione che ti stiano facendo una vera promessa. E’ questo che rende la solita pubblicità fondamentalmente fiacca.
Confrontate questa debolezza con la forza pubblicitaria della brochure della 7NC: l’uso quasi imperativo della seconda persona, i dettagli minuziosi che si estendono persino a quello che direte ( Siete voi che dite “sono perfettamente d’accordo””e “facciamo tutto!” ). Nella brochure della crociera, voi siete esonerati dalla fatica di costruire il sogno. Lo fa la pubblicità al posto vostro. La pubblicità, insomma, non manipola la vostra capacità d’azione, né la ignora: semplicemente, la sostituisce.
E questo atteggiamento autoritario – simil-genitoriale – crea una promessa davvero speciale, una promessa diabolicamente seducente, che d’altra parte è quasi sincera, perché è una promessa che la crociera extralusso ha tutte le intenzioni di mantenere. La promessa non consiste nel fatto che avrete la possibilità di godervi la vacanza, ma che ve la godrete di sicuro. E loro si assicureranno che ciò accada. Studieranno in maniera microscopica ogni virgola di ogni forma di divertimento in modo che neanche la temibile azione corrosiva della vostra coscienza di adulti né la vostra volontà né i vostri terrori manderanno il vostro divertimento a farsi fottere. La vostra capacità di complicare le scelte, di fare errori, avere rimpianti o provare insoddisfazione e disperazione saranno completamente tralasciate nell’equazione. La pubblicità vi promette che sarete in grado – finalmente, almeno per una volta – di rilassarvi e divertirvi, perché non avrete altra scelta se non quella di divertirvi. (14)


(13) In risposta a insistenti domande da giornalista sulla cordialità del personale, l’addetto stampa della Celebrity (La signorina Wiessen, con il fascino e la voce di Debra Winger) mi ha spiegato che “Il personale di bordo – lo staff – è tutto una grande famiglia: lo avrà probabilmente notato quando è stato sulla nave. Sono persone che amano profondamente il loro lavoro, amano servire i clienti e sono sempre attenti ai loro desideri e alle loro esigenze”.
Non è proprio quello che ho visto io. Quello che ho visto io è che la Nadir è una nave gestita da un ristretto organico di cazzutissimi ufficiali e supervisori greci, che lo staff vive nel più completo terrore di questi boss greci che li tengono sott’occhio in ogni momento della giornata e che l’equipaggio è costretto a lavorare a ritmi dickensiani, ritmi troppo feroci per permettere di essere sinceramente cordiali. La mia impressione è che Cordialità, insieme a Celerità e Servilismo, sono fra le voci delle pagelle che i boss greci compilano continuamente su di loro: infatti, quando credevano che nessun cliente li stesse guardando, molti di quelli che lavoravano avevano l’espressione stanca e tirata di che prende una paga bassa, e in più ha paura. La mia impressione è che un membro dell’equipaggio può essere licenziato al primo minimo errore, ed essere licenziati da questi ufficiali greci può significare un bel calcio in culo con scarpe lucide e brillanti e poi una nuotata piuttosto lunga.
Quello che ho visto io è che il personale prova una specie di affetto per i clienti, ma è un affetto relativo – visto che persino i passeggeri che anno le richieste più assurde appaiono gentili e comprensivi rispetto alla feroce severità dei greci, e di questo il personale sembra sinceramente grato, come ci succede quando incontriamo delle persone che hanno conservato un minimo residuo di umanità in città come New York o Boston.
(14) “IL VOSTRO PIACERE”, dicono tutti gli slogan delle megacompagnie, “E’ IL NOSTRO LAVORO”. Quel che sembra essere una frase a doppio senso, qui ne ha addirittura uno triplo, e il terzo messaggio - cioè ”PENSATE SOLTANTO AGLI AFFARI VOSTRI, E LASCIATE CHE DEL VOSTRO PIACERE CI OCCUPIAMO NOI PROFESSIONISTI, PER AMOR DI DIO” - non è casuale.

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Le vecchie e laide…

torrei le donne giovani e leggiadre: le vecchie e laide lasserei altrui.


Così si esprimeva Cecco Angiolieri nel ‘200, aggiungendo che le avrebbe senz’altro “lassate altrui”. Ora le vecchie e laide cominciano ad essere la maggioranza, e il mercato della bellezza sta pensando a loro – anche perché hanno un maggiore potere d’acquisto- . I colossi dei prodotti per la cura di sé hanno ingaggiato star del cinema che in altri tempi si sarebbero dovute accontentare di ruoli in qualche telefilm (questo quando fare la televisione era quasi un ripiego, e le serie televisive non avevano ancora praticamente preso il posto del cinema in sala come adesso) e le hanno trasformate in “ageing sex symbols”. Le recenti campagne con testimonial Jane Fonda e Susan Sarandon – quest’ultima per il mercato USA- ne sono una conferma. La campagna della Dove però va ancora più in là, e ci presenta , pubblicizzando una linea per capelli, una folta e lucente capigliatura, sotto alla quale però sbuca un volto sorridente…di una donna non più giovane. Badate, le si vede pure QUALCHE RUGA! Persino il collo non è perfettamente liscio.Normalmente infatti ogni minima imperfezione su volti di sedici-ventenni viene asportata in post-produzione; qui invece le rughe ci sono. Quello che fa impressione nella foto è la capigliatura della signora. Non una capigliatura libera, con riccioli qua e là, o liscia ma sparsa sul pavimento con la modella sdraiata e ripresa dall’alto (erano i capei d'oro a l’aura sparsi…) , simbolo di gioventù e disponibilità sessuale. Qui i capelli rappresentano un sipario che cela per metà il volto. E’ un’immagine molto più complessa di come appare: la chioma è la giovinezza che non può nascondere l’età che avanza, ma che ne può attenuare gli effetti più evidenti grazie alle le cure date dal prodotto reclamizzato. Il sostantivo age con il prefisso pro viene usato a piene mani, non si dice mai invecchiamento o antirughe in queste campagne, come un tempo. Gli stessi due flaconi – shampoo e balsamo- posti in basso a destra, tutti ovali e purpurei, rimandano visivamente ad un paio di ovaie ben funzionanti. Normalmente, se ci si fa caso, le forme dei contenitori di bagnoschiuma e prodotti per capelli hanno una vaga forma fallica. Qui invece, dato che ogni cosa rimanda alla rigenerazione (pro) della donna aging (non vecchia, eh!), la confezione si ovalizza.

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Non è un paese per capelli



"Tutto il tempo che passi a cercare di riprenderti quello che ti hanno portato via è solo tempo sprecato. Devi fare in modo che la ferita non sanguini più!"

(da Non è un paese per vecchi, regia di Joel e Ethan Coen, 2007)


L’ imprendibile assassino ad aria compressa Anton Chigurgh (si pronuncia Scìgurgh, ma Chìgurgh secondo me era meglio, aveva un suono più da scarico otturato) guarda inesorabile da sotto il caschetto castano la sua futura vittima. Fa vedere una moneta. Testa o croce.
“Scegli” – dice.






Noi guardiamo la fila che inesorabile si snoda dal cancello dei giardini di Piazza Vittorio al baracchino della cassa dell’annuale rassegna estiva Notti di cinema. Non possiamo mostrare nessuna moneta, ma solo stare fermi in coda.


I giardini di Piazza Vittorio


Le code per gli eventi cinematografici sono qualcosa di unico nel loro genere: tanto per cominciare, ognuno che decide di andare a vedere uno dei film programmati per la serata cova dentro di sé la convinzione di essere l’unico a sapere che quel film, soltanto per quella sera, sarà proiettato su quello schermo. Naturalmente arriva lì e si trova in compagnia di almeno altri ottanta e passa carbonari più altri che si aggiungono all’ultimo momento (“ Ô, l’hai presi i bijjietti?”) . A Piazza Vittorio in particolare arrivano persone che normalmente non si fanno vedere in giro in altre occasioni dalle stesse parti. Indossano polo e jeans, e se ci si avvicina loro li si sentirà parlare al cellulare in un italiano appropriato di progetti vagamente cultural-cinematografici e chiamare gente per nome (“Sì, ho letto la cosa di Giovanni, ora devo mandare le bozze, non mi è piaciuta la presentazione di Alberto, come torno da Parigi ti richiamo”) e tu rimani dietro a loro figurandoti come Heidi un mondo fantastico (acci-picchia!) dove si va e viene da Parigi e Alberto fa le presentazioni, poi tutti alla prima e dopo al party con il cast al completo…

Lo sceriffo quasi in pensione cerca di capirci qualcosa di quella mattanza di messicani in mezzo al deserto. Ha un assistente cretino. Nel frattempo l’idraulico telefona alla sua donna dicendole che si dovrà nascondere per un po’. Ha una valigia piena di soldi, presa ad uno dei messicani ammazzati vicino al confine.

Giunge in mezzo alla fila la Donna Alternativa. Non ha niente a che vedere con la Comune dell’Amore Eterno di Un Sacco Bello di Carlo Verdone, ha su di sé elementi molto etnici e molto chic, di quello chic propagandato dalle riviste di moda di medio cabotaggio. O è una borsa con le perline, o un sciarpa più o meno pashminata, o i temibili sandali in pelle che rimangono duri e penitenziali dopo un mese che tenti di camminarci –e sono i TUOI piedi a doversi adattare- Il suo arrivo suscita ammirazione, anche perché come arriva si mette ad abbracciare il suo gruppo di appartenenza con i classici due bacini, uno a destra e uno a sinistra. Peccato che il suo splendore etnico sia in parte rovinato dalla presenza delle famigliole indiane nei pressi della giostrina, le cui donne dalle nere e seriche capigliature sfoggiano il completo tradizionale formato da una tunica lunga e pantaloni a tubo in colori così sgargianti che nessuna donna per quanto alternativa oserebbe portare.

La donna dell’idraulico ha una madre che è sul punto di soccombere al cancro e che passa gli ultimi momenti della sua vita a dirle quanto il suo uomo sia un buono a nulla. Alla fine morirà; la figlia si indebiterà anche per le spese funerarie e trascorrerà l’ultimo suo pezzo di vita davanti allo sguardo di Chigurgh.

Una volta dentro i giardini e davanti allo schermo (è già partito intanto l’altro film sul secondo schermo dalla parte opposta del giardino , e arrivano così zaffate di dialoghi assieme allo sferragliare dei tram intorno alla piazza) ci si imbatte negli Informati. Questi sono letali. Tanto per cominciare si accendono la sigaretta, perché la notte è stellata, loro sono spiriti liberi e hanno sempre mal sopportato il fatto che non si possa più fumare dentro a un cinema. La fumano al posto accanto al tuo, e il fumo, grazie alla brezza di Sud-Ovest ti arriva direttamente sotto il naso. Nel frattempo, prima che inizi il film, si raccontano cosa hanno fatto di recente. Nessun “Trovaroma” gli può stare appresso, e dopo un po’ tu finisci per capire che hai perso molte cose della vita. Il culmine lo raggiungono quando uno dei due riferisce di aver visto una serie di performance visive (non “corti”, eh!) realizzate da un signore che risulta essere “l’uomo di Björk”. L’uomo, non il fidanzato o il convivente. Quelli lo siamo noi che assistiamo alle performance visive.

L’idraulico è già stato fatto fuori. Non da Chigurgh, ma da un incidente d’auto. E anche Chigurgh potrebbe fare questa fine, ma non la fa. Esce dall’auto distrutta –l’altro autista, ça va sans dire,è morto- Si fa dare una camicia da un ragazzino, ci confeziona un rudimentale appoggio per il braccio rotto, e va via per la sua strada.

A film già iniziato, si siede sempre la signora anziana con i cani. In scialletto e gonnellona, ama presenziare all’atto cinematografico, probabilmente si ricorda quando le rassegne erano solo arene con tanti ragazzini e ci si portava appresso la pentolina con la cena. Credo sia l’ultimo esemplare di pubblico puro rimasto in circolazione.
A proiezione avvenuta, a differenza di Chigurgh che ha il caschetto sempre in ordine, io mi ritrovo la chioma completamente ricciuta. L’umidità mi ha assassinato la testa. Questo non è un paese per capelli a posto.


Il sogno finale dello sceriffo


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45 giri

"We played old 45s..." Our Mutual Friend, The Divine Comedy
La mia famiglia possedeva un bel po’ di 45 giri. Ora possono sembrare dei pezzi di modernariato, ma nel 1966 (periodo in cui datano la maggior parte dei suddetti 45 giri) erano un decisivo veicolo di comunicazione. Basta vedere le copertine: qui è raffigurata una giovanissima Wilma Goich non ancora coniugata Edoardo Vianello – e quindi non ancora I Vianella e Semo ggente de bborgata/ che alla vita ce tiè - ritratta dietro una ruota davanti a un casolare di campagna. La giornata è solatìa, e il verde praticello ai suoi piedi suggerisce immagini di allegre scampagnate. Il ritornello della gioiosa Attenti all'amore però fa:
A – a – attenti all’amore
L’amore finisce male
E troppe volte fa male
Male a tutti voi.
Nel 1966 avevo due anni, e mia madre mi faceva cantare questa canzone al magnetofono Geloso a bobine che possiedevamo. Credo mi abbia in buona parte condizionato la mia futura –inesistente- vita affettiva.
La seconda copertina è invece un vero e proprio Sign o’ the Times (oh, yeah! - direbbe Prince): se oggi abbiamo i download illegali, nel 1966 c’erano i falsi 45 giri con due lati A invece di un lato A e uno B più scadente. I pezzi venivano cantati da perfetti imitatori dei cantanti più in voga (qui abbiamo una certa Barbara che rifà mirabilmente Iva Zanicchi in Parla Tu Cuore Mio,

versione italiana di un lentaccio terzinato della cantante italo-americana Timi Yuro. La ragazza in posa sul pagliaio mi faceva sempre pensare a quanto dovesse soffrire a stare là sopra invece di farsi fotografare in riva al mare…Era una versione più casalinga delle copertine degli album di Fausto Papetti. Sull’altro lato c’era Siesta,

cantata da un simil-Bobby Solo, con il sovversivo testo:
Quando è l’ora della Siesta (detto in modo galeotto)
E’ festa per me
E invece di dormire
Io vado a passeggiare
Da solo col mio amo-ore
(Finalino) Però
La gente non lo sa-a-a.
Da questa canzone appresi confusamente che se volevo combinare qualcosa di buono, dovevo farlo in modo silenzioso e senza farlo troppo sapere in giro.
E veniamo alla terza copertina, quella più controversa: Cristine.


Sensuale beguine suonata al piano da Don Jaime De Mora Y Aragòn (ossia “Fabiolo”, fratello della regina del Belgio e personaggio del jet-set internazionale), si ispirava al famoso scandalo Profumo del 1960, quando l’allora ministro della difesa inglese John Profumo venne accusato di passare informazioni segretissime ai russi tramite la squillo d’alto bordo Christine Keeler. Qui è scritto Cristine senza l’h, ma il brano è a tutt’oggi francamente irresistibile. Inizia con una voce femminil-strascicata che modula: My name’s Christiiine…Parte il brano per fermarsi qualche battuta dopo. Torna la voce a sussurrar: What’s Yooours? La canzone è in pratica uno Stop and Go punteggiato da battute e brevi sospiri della sexy Christine. La copertina offre il massimo della peccaminosità su un 45 giri senza essere arrestati (ammirate le pantofoline bordate di marabù celeste), ma è la frase sul retro a stendere: il pezzo è cantato da Miss X, che data la natura del brano ha preferito trincerarsi dietro uno pseudonimo.
Dopo quarantadue anni mi chiedo ancora: chi sarà stata Miss X?